AMBIENTALISMO FERRAGOSTANO

  1. Qualcuno si chiederà perché l’AIW non sia intervenuta sulla storia del povero Beluga morto nella Senna, una classica storia  disneyanamente animalista (il che vuole dire, di totale ignoranza della specie, sue caratteristiche e ragioni da “grande cerchio della vita”, per cui spiegarlo agli animalisti sarebbe come parlare loro in arabo; anche se ovviamente i media ci vanno a nozze!). Ha commentato invece bene la storia Marco Bruzziolo (giornalista in pensione della RAI – Friuli), intervenendo sui social. Pubblichiamo e sottoscriviamo: «La frenesia animalista e soprattutto l’incapacità degli umani “di città” di accettare un evento naturale, ineluttabile e addirittura necessario come la morte, ha portato alla stronzata assoluta del tormento recato al povero delfino Beluga. Entrato nella Senna lontanissimo dal suo ambiente naturale, era evidente a chiunque avesse un minimo di cranio che il soggetto aveva qualcosa che lo condannava. E che era meglio lasciarlo morire in santa pace invece di inseguirlo per giorni, cercare di indurlo a mangiare quando lui rifiutava ed infine catturarlo con una rete, causandogli un forte stress da cattura. Per poi sopprimerlo quando era evidente che non si sarebbe salvato. La Botteri conclude il servizio per il TG con il lacrimevole accenno al fatto che i soccorritori “gli sono rimasti vicino fino alla fine per farlo sentire meno solo”. Quando la solitudine era esattamente ciò che il delfino cercava per giungere tranquillamente alla fine della sua vita».
  2. Sulla polemica scatenata dai “Jova Beach Party”, si prende nota della giustificazione datane da Mario Tozzi e pubblicata su La Stampa, e non possiamo che condividerla, se le cose sono andate come lui sostiene, ovvero che ovunque abbia tenuto (o terrà) i party si è trattato di spiagge che la naturalità l’hanno persa da tempo. Sempre una frequentatrice dei social (Giulia Corsini, di professione veterinaria), in merito ha scritto che «Sir Peter Scott (conservazionista, ornitologo, artista, – e questo lo dico bisbigliando – cacciatore) è stato cofondatore e primo presidente del WWF ha avuto un ruolo indispensabile e centrale nel ripristino delle zone umide (stagni, acquitrini, paludi, torbiere, bacini naturali, spiagge). Si tratta di zone tra le più ricche in termini di biodiversità, con elevato valore ornitologico.  Fondò l’oasi di Slimbridge (la prima nel suo genere) e il Wildfowl & Wetlands Trust per proteggere le zone umide e la loro fauna. Sir Peter Scott era anche un fine artista e disegnò il logo stesso del WWF.», questo per dire che oggi Sir Peter Scott condannerebbe questi party. Ma noi non ne siamo propriamente certi, e proprio per la ragione suddetta. Il vero problema delle spiagge italiane non sono gli Jova Party, ma lo scempio che se ne è fatto in passato, ormai tutte addomesticate, quasi urbanizzate (a Jesolo hanno addirittura “chiuso” il mare con dei cordoli di cemento!). Ecco, in queste spiagge, che Jovanotti vada pure a scatenare i suoi fan: è come se lo facesse in piazza San Carlo a Torino, in Piazza del Popolo a Roma o in Piazza del Duomo a Milano. L’integralismo serve, ma non per le suddette spiagge: caso mai per gli isolotti della Liguria, i pochi tratti di spiagge “selvagge” continentali, e per le spiagge, questi veramente tali, selvagge della Sardegna!
  3. E, a proposito delle battaglie sbagliate di tanti ambientalisti. In Liguria il WWF ha protestato per lo scempio che hanno scoperto sia stato fatto di una prateria di Posidonia, tra Alassio e Albenga (zona dell’Isola Gallinara); una protesta giusta, ma nessun riferimento al Santuario dei Cetacei che in cui è compresa, e che proprio queste cose dovrebbe servire ad impedire, se fosse un VERO Santuario: invece il tanto esaltato Santuario serve solo a “proteggere” cetacei che nessuno aveva mai prima cacciato! E… a portare a spasso turisti! Quando si dice un'”area protetta” assolutamente INUTILE per la funzione che un Santuario dovrebbe avere! Ma in Italia le aree protette piacciono così, ovvero dove di serio viga solo il divieto di caccia (i cetacei sono mammiferi!).
  4. Intanto diventa sempre più ovvio che gli italiani sono un popolo di incoerenti (lo vediamo spesso in politica, con i voltagabbana che sono il divertimento dei media!); ma il massimo dell’incoerenza la raggiungono soprattutto gli ambientalisti, e, ancora peggio, gli animalisti. Entrambi predicano cose giuste e sagge, ma spesso totalmente incoerenti con il loro modo di vivere. L’importante è crederci, di esser coerenti, anche se poi non lo si è affatto: intanto sono solo gli altri che se accorgono! L’importante è essere certi di avere comunque la coscienza a posto, anche se a posto non lo è affatto! Prendiamo l’esempio del tricheco abbattuto in Norvegia per i danni che stava arrecando e per il pericolo che facesse ben peggio nei riguardi dei curiosi (sicuramente in gran parte animalisti). Oppure in Slovenia, dove di fronte alla presenza di oltre 1.000 esemplari di orso bruno, hanno stabilito che sia il caso di ridurne il numero (ne è stato autorizzato l’abbattimento di 222 esemplari) prima che la loro popolazione diventi un pericolo per l’uomo o arrechi danni incontenibili. Ecco, nessuno sterminio per le due specie, solo un poco di saggezza, che poi è quella che ci vuole nella gestione della fauna selvatica: non l’ottusità di chi ritiene che sia sempre l’uomo a tirarsi indietro per fare spazio alla fauna… dopo che per millenni le si è sottratto il loro habitat! A non consentire la riduzione del numero di orsi, lupi e cinghiali (ma anche cervi e caprioli) gli animalisti sono sempre schierati, e sempre pronti ad impegnarsi in battaglie mediatiche. Mai che nessuno rinunci alle proprie case, ville, palazzi, piscine, fattorie, strade ed autostrade per riportare quei luoghi allo stato originario necessario alla vita degli animali! Ovvio che non lo si possa fare; e certamente sono loro stessi consapevoli di questo. Però gli animali devono – per loro – poter continuare a crescere a dismisura! Una contraddizione che nasconde solo l’incoerenza della loro visione. Avere idee radicali, ma poi non vivere secondo quei principi, è la cosa più facile, di comodo ed egoista da farsi. Come Pilato! Ed è così che si contribuisce a non far crescere moralmente una società.
  5. Non è il caso oggi di “tirare per la giacchetta” Piero Angela, tanto più che non può più né smentire né rettificare, e tanto meno ritrattare, ma resta comunque interessante sapere cosa nel 2006 scrisse in merito al nucleare nel suo “La sfida del secolo, Energia 200 domande sul futuro dei nostri figli”. Lo riprendiamo perché è molto interessante. Sebbene non fosse un esperto della materia, è comunque autorevole quello che da studioso delle scienze pensava su questo spinoso problema. Probabilmente non servirà certo a far cambiare idea agli anti-nuclearisti di principio (è notorio come dire avevo torto resta sempre la cosa umanamente più difficile!). Ma è solo riconoscendo i propri sbagli che si progredisce, non intestardendosi nel proprio pensiero anche al di là di ogni ragionevole verità. E sul nucleare riuscire a capire quale sia la verità non è facile dopo i tanti anni di notizie distorte e/o manipolate che ci hanno propinato; per cui bisognerebbe sempre non smettere di cercarla, anche a costo di dovere, appunto, dire: avevo torto! Queste sue parole oggi fanno parte di quell’eredità scientifica che ha detto di volerci lasciare.

«Se consideriamo che i primi reattori nucleari hanno cominciato a produrre energia negli anni Sessanta, e che oggi ne sono in funzione 441, il livello di sicurezza di questi impianti è alto. Specialmente se lo paragoniamo, come vedremo, agli incidenti che hanno coinvolto altre fonti energetiche. Sulla radioattività ci sarebbe comunque da fare qualche altra precisazione.

«Solitamente si pensa che la radioattività sia qualcosa che riguarda le centrali nucleari, o magari le radiografie o le radioscopie, in realtà non è così perché siamo tutti immersi in un fondo naturale di radioattività, che proviene dal decadimento di elementi contenuti nella crosta terrestre e dai raggi cosmici che piovono dallo spazio. Ovviamente sono dosi molto basse, ma variano da luogo a luogo. A Roma per esempio il fondo naturale è il doppio che a Milano. Ci sono regioni della Terra, come in India e in Brasile, dove la radioattività è addirittura decine di volte quella media italiana (senza che siano state rilevati, statisticamente, aumenti di malattie tumorali). Le centrali nucleari in normale attività e i vari esami radiografici fanno aumentare solo di frazioni minime questo livello di base. E’ stato ad esempio calcolato che per un abitante della Valle d’Aosta (zona a bassa radioattività naturale) vivere qualche mese in provincia di Viterbo (ad alto fondo naturale) comporterebbe una dose media di radioattività più alta di quella proveniente dalla nube di Chernobyl. E, a proposito di radioattività, siamo stati testimoni di un curioso episodio mentre realizzavano lo speciale su Chernobyl per SuperQuark.

«Per sicurezza, tutta la troupe impegnata nelle riprese è stata dotata di un dosimetro, cioè di un apparecchio in grado di misurare le radiazioni assorbite. Poiché per le riprese dovevamo entrare nella zona interdetta, cioè entro i 30 km dalla centrale, ci è sembrata una precauzione necessaria. Infatti non solo abbiamo visitato, è “girato”, la cittadina di Pripjat, la più vicina alla centrale, ma ci siamo anche avvicinati a meno di 100 metri dal “sarcofago”, dove sono rinchiuse le rovine radioattive del disastro nucleare. Ebbene, prima di partire, il direttore della fotografia, oltre al dosimetro da portare addosso, se ne era fatto consegnare un altro, che aveva lasciato nella sua abitazione di Roma. Sorpresa. Quando al ritorno siamo andati a leggere i dosimetri, quello rimasto a Roma aveva registrato una dose di radiazioni maggiore di quello che avevamo indossato per tutto il viaggio nella zona interdetta e nella visita alla centrale di Chernobyl. Almeno, dalla nostra piccola esperienza, vivere a Roma comporta una dose di radiazioni più alta di quella assorbita nella zona attorno a Chernobyl.

«Ma forse c’è una ragione particolare che fa temere la radioattività più di certe sostanze che possono provocare anch’esse tumori, il fatto è che gli strumenti che per misurare la radioattività sono incredibilmente sensibili e precisi. Possono individuare un elemento radioattivo in concentrazioni piccolissime. Cioè possono rilevare la presenza di un millesimo di miliardesimo di milligrammo in un metro cubo d’aria e identificare, grazie al tipo di radiazione, anche l’elemento. Altre sostanze che possono provocare il cancro, vengono invece prodotte a migliaia nei più svariati processi chimici e industriali e spesso non sono nemmeno ben conosciute e analizzate. Per queste sostanze, però, non esistano strumenti di misurazione così precisi, e quindi non si ha una percezione altrettanto sensibile della loro pericolosità. In un certo senso la conoscenza esalta il pericolo, la non conoscenza lo riduce. Questa maggiore sensibilità si riflette anche nella percezione degli incidenti. Un incidente, anche piccolo, che avviene in una centrale nucleare fa notizia, e verrà sempre ricordato. Mentre fanno molto meno notizia incidenti, anche gravi, legati ad altre fonti energetiche.»

 

Murialdo, 16 Agosto 2022

Franco Zunino
Segretario Generale AIW