WILDERNESS E RURALITÀ

Da un intervento al Convegno sulle “Attività portatrici della cultura rurale” organizzato a Vicenza il 23 dicembre 2011 dall’Associazione per la difesa e la promozione della cultura rurale la posizione dell’AIW sul movimento recentemente formatosi per iniziativa di forze più legate alla politica ed agli interessi economici del mondo rurale che non all’ambientalismo. 

Aldo Leopold, il filosofo “pratico” dell’Idea Wilderness, nel suo famoso Sand County Almanac, affrontando il problema della wilderness quale stato originario dei territori selvaggi nei quali anche la società umana si è evoluta, scrisse che «La wilderness è il materiale grezzo dal quale l’uomo ha ricavato il manufatto chiamato civiltà.» La ruralità, se vogliamo, è il primo prodotto di quel processo evolutivo: la natura selvaggia come è stata modellata, soggiogata alle necessità dell’uomo, dalla trasformazione di boschi e praterie in campi coltivabili, all’utilizzo dei boschi come materiale per la cucina del cibo ed il riscaldamento delle grotte e dei primi ricoveri abitativi, all’addomesticamento di specie animali per adibirle ad ausiliari per la caccia ed il pascolo e la guardiania dei villaggi, a quella di altre specie da trasformare in risorse alimentari senza la necessità di cacciarle, alla stessa caccia e raccolta dei frutti e delle erbe commestibili per procurarsi il sostentamento, alla trasformazione delle piste di animali in sentieri, mulattiere e poi carrarecce e strade.
Ecco che, creatosi il mondo della ruralità, avvenuto con la crescita e lo svilupparsi della società umana, anche la ruralità è finita per divenire parte integrante di quel mondo selvaggio da cui essa proveniva e proviene, seppure adattato alla presenza dell’uomo come animale superiore, quindi, al contrario degli altri animali, in grado di sfruttare, adattare e condizionare la crescita “selvaggia” delle risorse naturali rinnovabili che furono e sono alla base dell’economia della società umana.
Non poche volte noi della Wilderness ci rendiamo conto, nel nostro vissuto pratico, sia per le origini famigliari di molti, sia per la frequentazione, che è vero il fatto che l’Idea della Wilderness, gli aspetti filosofici di questa, sono spesso, anzi, quasi sempre, più compresi dal mondo della ruralità che non da quello della città. L’uomo rurale sa cosa vuole dire vivere a stretto contatto con la Natura e le sue risorse, ne comprende le funzioni e gli aspetti, e finisce anche per comprendere, magari, ed anzi, quasi sempre, inconsciamente apprezzare, quelle situazioni emotive dell’interiorità umana come l’accettazione e condivisione della solitudine, la gelosia dei luoghi, il fastidio di un disturbo intimo di fronte a certi aspetti della moderna cultura dell’escursionismo (sentieri marcati, cartellonistica ed addomesticamenti vari, le stesse attrezzature ed il vestiario). Tutti aspetti che sono spesso incomprensibili per il cittadino, e assolutamente non apprezzabili. E qui ricordo quanto dettomi un giorno da un guardiaparco in pensione del Parco Nazionale d’Abruzzo (Francesco Tudini), vicino al mondo della ruralità per essere egli il Presidente di una locale antica società pascoliva (“Erbe Seconde”), parlando dei problemi dell’orso bruno marsicano e del disturbo del turismo, turismo che, egli disse, “volgarizza la faggeta”! Ecco, questo è un aspetto quasi filosofico della ruralità, dell’apprezzamento della ruralità, che difficilmente un cittadino può comprendere, mentre lo capisce benissimo il semplice pastore, il boscaiolo o il cacciatore di paese, proprio perché appartengono al mondo della ruralità.
Poteva quindi l’AIW, quale associazione che si prefigge la salvaguardia di scampoli di naturale selvaggia, opporsi all’idea di una difesa della ruralità e dei suoi valori? No, ovviamente, ed è per questo che anche oggi siamo qui a rappresentare la nostra visione del mondo rurale, a spiegare le ragioni per cui riteniamo di condividere la “road map” (oggi si usa dire così!) del mondo rurale e di chi questo mondo ha deciso di radunare in un unico contenitore al fine di tutelarne i diritti.
Forse, fino a non troppi anni fa, di un tale contenitore non si sentiva il bisogno. Fino a trenta, quaranta o cinquant’anni orsono, l’agricoltura, l’allevamento, la filiera boschiva, non erano ancora ridotte, come pratiche, ai miseri rimasugli di oggi, dove anche nei cosiddetti paesi di campagna, per non dire di quelli di collina e di vera montagna, le persone che ancora si dedicano alle attività agro-silvo-pastorali, sono ormai divenute delle mosche bianche; in taluni casi, attività quasi e veramente a rischio di estinzione, come avviene per il simbolico Panda del WWF!
Noi quindi condividiamo appieno l’idea che si sia creato questo contenitore e che magari si trasformi o si appoggi anche ad un movimento che trovi nella politica un sostegno, una spalla a cui appoggiarsi, poiché riteniamo che senza una difesa di certi valori legati a questo mondo, quello della città finirà per dominarlo, a sua volta assoggettarlo e forse schiavizzarlo ai propri bisogni, trasformando il mondo rurale in un mondo artificiale mercificato quali già sono i grandi allevamenti di pollame e bestiame vario, la stessa produzione di latte e latticini, le immense monocolture di piante sempre meno naturali e sempre più soggette a manipolazioni per aumentarne la produzione: sempre mondo rurale, ma che più nulla ha della ruralità di un tempo, di quella ruralità di cui, mi auguro, oggi noi siamo qui anche a parlare.
Nonostante tutto questo, il mondo della ruralità ha però varie sfaccettature, alcune delle quali sono per noi inconciliabili perché viste proprio come il germe della civiltà più moderna, quella che oggi rischia di far sparire quelle radici ancestrali e quella, se vogliamo chiamarla così, civiltà intermedia che ci stiamo sempre più lasciando alle spalle.
Credo che, come noi ci battiamo affinché almeno alcune aree di natura selvaggia restino tali, sottratte allo sviluppo urbanistico, così dobbiamo batterci affinché almeno in queste stesse aree o anche in altre meno selvagge ma caratterizzate da un’elevata naturalità e ruralità, questa ruralità non sia addomesticata e assoggettata ai moderni sviluppi della tecnologia e dell’urbanistica, perché altrimenti di questa ruralità resterà solo il nome, la sua definizione. Può considerasi rurale un pollo cresciuto in batteria? Può ancora considerarsi rurale uno sfruttamento industriale dei boschi come avviene oggi in molte zone iper-meccanizzate e motorizzate e senza rispetto alcuno per la biodiversità? Può considerarsi rurale un allevamento intensivo di bovini per la cui cura si usano stalle tecnologizzate ed automezzi come un tempo si usavano muli o cavalli?
Di recente, ad una nostra proposta di Area Wilderness per un settore di montagna e di bosco già ampiamente servito da strade ai fini di uno sfruttamento forestale, un Comune ha rifiutato l’idea di un vincolo urbanistico che ve ne impedisse la realizzazione di altre, con la semplice scusa che di fronte a richieste di nuove piste per favorire ancora di più l’esbosco da parte delle ditte appaltatrici, questo (il Comune) non voleva mettersi nelle condizioni di rifiutarne l’autorizzazione. In pratica, un impegno culturale quale è, in fondo, la designazione di un’Area Wilderness è stato rifiutato per rispetto ad una logica di sfruttamento rurale!
Questo è il nostro dubbio, ed è per questa ragione che l’Associazione Italiana per la Wilderness che sono qui a rappresentare si sente, almeno di fatto, più una sostenitrice esterna di questo processo per la difesa della ruralità che non un membro che ne condivida integralmente il programma. In pratica, c’è un mondo rurale (che è quello di pensiero) che è vicino all’idea della natura selvaggia, ma c’è anche un mondo rurale (quello pratico, produttivo e commerciale) che la natura selvaggia combatte in tutte le sue forme e manifestazioni! Che ne è addirittura il peggior nemico! L’apparato radicale di quello stupendo faggio ben evidente nella fotografia che correda l’invito a questo convegno appare così, e ne mina la stabilità, proprio a causa dell’apertura di una strada forestale, strada che qualora dovesse essere ampliata (come quasi sempre avviene, per adeguarla a mezzi sempre più grandi!) porterebbe al suo abbattimento: anche questo agire appartiene al mondo rurale, ma è la negazione della Wilderness!
Vediamo un altro esempio; quello recente delle alluvioni che quest’anno hanno falcidiato il Veneto prima e poi la Liguria e l’alta Toscana. E’ facile scaricare la colpa sull’ormai cronico abbandono dei boschi, prati e campi delle nostre colline e montagne; abbandono che avrebbe accusato danni ad abitazioni e centri abitati con l’accumulo di alberi e ramaglia, sostenendo che con un interesse maggiore rivolto a queste zone mediante la ripulitura dei boschi ed il mantenimento ordinato degli alvei dei corsi d’acqua, ovvero con un interesse maggiore verso il mondo della ruralità agreste e campagnola, le alluvioni non avrebbero arrecato i danni che hanno arrecato. Ma questa è una tesi tutta da dimostrare!
Innanzi tutto va chiarito che alla base dei danni subiti dalle collettività venete, liguri e toscane ci sono due verità primarie, la prima delle quali evidenziata anche dall’allora Presidente del Consiglio Berlusconi (ed è quasi il colmo, viste le sue radici di imprenditore del mattone!): si è costruito dove non si doveva costruire! La seconda motivazione è che, se cadono in poche ore tanti millimetri di pioggia quanti ne cadono in una stagione intera, non c’è pulizia dei boschi o degli alvei che tenga: il tracimare dei corsi d’acqua è inevitabile!
Ma vediamo invece l’aspetto del come il mondo rurale contrasti con la sanità di quello naturale. E qui mi piace citare nuovamente il nostro leader storico, Aldo Leopold, che proprio dallo studio dello stato di wilderness dei territori selvaggi in contrasto con le erosioni che gli agenti atmosferici stavano facendo nelle terre coltivate proprio a causa delle trasformazioni fatte dall’uomo, trasse le conclusioni che lo portano a quell’Etica della terra che lo rese poi famoso nel mondo intero.
Non dimentichiamo che le colate di fango che hanno invaso i paesi inondati non provenivano dai boschi “inselvatichiti” ma dai campi ed orti soggetti a coltivazioni (un ovvio e semplice ragionamento che ancora nei giorni scorsi proprio un amico che coltiva ancora la terra dei suoi padri, ha tenuto a farmi notare!). Non ignoriamo che propri i boschi “inselvatichiti” fungono da spugne per il trattenimento dell’acqua piovana e che gli alberi lungo le rive dei corsi d’acqua servono anche a frenare l’impeto dell’acqua. Ma, soprattutto, che le esondazioni sono non solo fenomeni naturali, ma anche valvole di sfogo di ogni corso d’acqua. Il mondo selvaggio non ha mai avuto bisogno di quelle manipolazioni per regolarsi; se un tempo l’uomo vi provvedeva era solo perché erano giustificate da interessi economici. Farlo oggi rappresenterebbero solo costi sociali insostenibili (ed ingiustificati!) per la collettività. Ruralità significa anche rispettare queste regole della natura.
Ricordo che negli USA, quando una decina di anni or sono il Mississippi esondò in gran parte delle contrade che attraversa, allagando campagne intere, il provvedimento delle autorità di quello Stato federale non fu di ricostruire le abitazioni distrutte dalle acque o di ripristinare i campi alluvionati, ma di acquistarli dai privati per… ritrasformali negli antichi stati di wilderness che furono, come valvole di sfogo!
Ecco, non facciamo l’errore di considerare buono tutto ciò che viene dal mondo della ruralità; un mondo che, non dimentichiamolo, è comunque alle radici di quello urbanizzato. Questo per dire che, se per ruralità vogliamo intendere la dominazione dell’uomo rurale sul mondo naturale, col rischio, secondo noi, di avvicinarlo proprio a quel mondo urbanizzato che ora fa la differenza, allora noi non ci stiamo. Ci sono fatti e momenti della ruralità che fanno a pugni con l’Idea della Wilderness, come la realizzazione sempre più frequente di strade montane per sfruttamenti forestali o per avvicinamento ai pascoli. Se a questa visione non si pone almeno quella che in alcune aree tali sviluppi devono essere interdetti per rispetto al loro stato di natura selvaggia e di biodiversità naturale, la nostra Associazione non potrà che opporsi ad ogni progetto che mini questi stati.
Il rispetto della ruralità, del mondo rurale, che noi condividiamo, è quello ideale di una ruralità etica: per il diritto del pascolo, dello sfruttamento forestale, della caccia, dell’agricoltura; per il diritto a giuste compensazioni per danni che il mondo della ruralità possa subire (ad esempio, agli allevatori per la presenza dei lupi e degli orsi) o quello agricolo (per la presenza di troppi cervi, caprioli e cinghiali).
Noi siamo certamente a favore del mondo rurale se per mondo rurale si intende lo spirito della ruralità e la parte sana del mondo veramente rurale, e siamo per il rispetto dei suoi valori culturali e diritti, ma il nostro è un essere a favore condizionato dal rispetto che il mondo della ruralità deve avere per altri valori collaterali; nel nostro caso quello della natura selvaggia.
Infine, anche per tutte le ragioni suddette, ma soprattutto per le polemiche che sempre più frequentemente si sentono nel mondo della ruralità, in merito all’interesse che la politica sta sempre più dimostrando verso questo mondo fino a ieri ignorato, salvo per la difesa quasi massonica del mondo della caccia, ma senza un vero e proprio schieramento politico, deve essere chiaro che l’Associazione Italiana per la Wilderness manterrà un’equidistanza da qualsiasi movimento o partito che si ispiri al mondo della ruralità o che si eriga a paladino della difesa dei suoi interessi.