IL RITORNO DEL GIPETO

L’ultima uccisione documentata di un gipeto nelle Alpi avvenne nel 1912 in una valle attualmente compresa nel Parco Nazionale Gran Paradiso. Esattamente 100 anni dopo, due coppie di gipeto hanno nidificato in quella stessa valle e in una vicina del parco. Gli uccelli derivano da un progetto internazionale partito nel 1978 e tuttora in progresso. Esso fu preceduto da una fase di 7-8 anni di incertezze e di insuccessi, sulla quale si diffonde la presente nota. Anche a dimostrazione delle difficoltà e della pazienza necessarie per reintrodurre in natura una specie estinta.
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Questa nota di carattere storico ripercorre le prime iniziative che hanno portato nel 2012 alla riproduzione riuscita (cioè con l’involo dei nati) di due coppie di Gipeto Gypaetus barbatus nelle Alpi Occidentali italiane, nell’ambito del Parco Nazionale Gran Paradiso e precisamente in due valli laterali della Valle d’Aosta (Savarenche e Rhêmes). L’ultima uccisione documentata di un Gipeto adulto nelle Alpi era avvenuta proprio in Val di Rhêmes nel 1912. Bisogna ricordare che il secolo 19° risultò micidiale per la fauna dei grandi vertebrati alpini. Infatti lo Stambecco vi fu salvato all’ultimo momento (1821) da un intervento legislativo del Regno Piemontese. I Lupi sono citati come attivi ancora nel 1862 e non più dopo. L’ultima Lince documentata fu uccisa in Valsavarenche nel 1894, l’ultimo Orso a St. Rhémy nel 1856.
A dire il vero qualche Gipeto si era mostrato ancora nel Gran Paradiso e certamente altrove nelle Alpi anche dopo il 1912 e prima della attuale reintroduzione. Le loro origini erano presumibilmente le ultime roccheforti europee della specie, cioè la Corsica, i Pirenei, i Balcani. La sporadicità e la scarsa attenzione prestata a un grande uccello nel cielo, simile a un’aquila reale, spiegano perché la documentazione al riguardo sia scarsissima.
Negli anni universitari avevo nutrito la mia passione di bird-watcher soprattutto con la Field Guide to the Birds of Britain and Europe di Peterson, Mountfort, Hollom (uso ancor oggi la prima edizione donatami nel 1954) e gli 8 volumi sugli Uccelli d’Europa di Paul Géroudet. Quando nel 1970 andai a dirigere il Parco Nazionale Gran Paradiso – allora ampio 60.000 ha a cavallo di Piemonte e Valle d’Aosta – scoprii che Paul Géroudet, ornitologo di Ginevra, vi veniva saltuariamente e lo conobbi di persona. Parlavamo ovviamente di uccelli, ma anche di reintroduzioni di specie estinte. Gli domandai una valutazione preliminare della reintroduzione di 5 di esse. Me la inviò nel 1971 in 12 pagine e la concludeva con un sintetico parere per ciascuna specie: Capriolo (realizzabile), Gallo cedrone (possibile, ma molto aleatoria), Lince (possibile, ma con rischi certi), Gipeto (aleatoria), Lontra (sconsigliabile). Quanto al Gipeto, Géroudet ipotizzava di mettere almeno una coppia adulta in una grande voliera in natura e, se anche non si fosse riprodotta, di liberarla dopo adeguata acclimatazione. Prevedeva alimentazione artificiale e sorveglianza per almeno 10-15 anni (in litteris).
Poco dopo richiesi a IUCN e WWF-internazionale uno studio più approfondito sulle stesse specie. Lo eseguirono C. W. Holloway e H. Jungius, che accompagnai su e giù per il Parco. Lo studio fu terminato nel 1972 e pubblicato nel 1973. Si trattava del primo studio scientifico sulla possibilità di reintrodurre il Gipeto in natura. Gli autori suggerivano un metodo un po’ differente da quello di Géroudet, cioè pensavano a 2-3 coppie di uccelli giovani, da tenere in cattività solo per la riproduzione, liberando in seguito i nati.
Nel 1972 il capo della gestione Acque e Ambiente Naturale dell’Alta Savoia, G. Amigues, contattava Géroudet e, forse forzandogli un po’ la mano, dichiarava l’intenzione di procurare 10 Gipeti tramite lo zoo di Kabul in Afghanistan, che aveva un commercio autorizzato di animali e di cui conosceva il direttore Gunther Nagge. So poco di questi contatti. Comunque 4 uccelli arrivarono in Francia nel 1973 (2 adulti e 2 di due anni). Purtroppo uno morì di infezione polmonare, 2 fuggirono e 1 fu liberato nel 1975. Altri 4 uccelli arrivarono nel 1975, ma 2 morirono subito, gli altri 2 furono ceduti nel 1978 al progetto di cui qui sotto. Ancor prima del 1978, dunque, il tentativo era da ritenere fallito.
Il progetto decisivo nacque in una riunione patrocinata da IUCN e WWF-internazionale a Morges (Svizzera) nel novembre 1978. Ritrovai Géroudet, i fratelli Terrasse, autori di un avviato progetto di reintroduzione del Grifone Gyps fulvus nel Massiccio Centrale (Francia, 1970) e altri amici d’oltralpe. Pochi anni prima del 1978 l’Alpenzoo di Innsbruck aveva ottenuto la riproduzione di una coppia di Gipeti in cattività. Così H. Frey (Università di Vienna) e W. Walter (WWF-AU) proposero a Morges la riproduzione in cattività degli uccelli rimasti negli zoo disposti a collaborare e la collocazione dei nidiacei poco prima del tempo dell’involo in siti naturali delle Alpi. Nonostante qualche incertezza su quest’ultimo punto e sulla disponibilità di cibo per una auspicabile popolazione autosufficiente, tre erano i punti decisivi del progetto austriaco: nessun prelievo dalle popolazioni libere, riproduzioni in ambienti controllati scientificamente, possibilità di aumentare il numero dei riproduttori.
Condotto da Frey e Walter con competenza e trasparenza, sostenuto dagli altri esperti, oltre che da un numero crescente di osservatori volontari in tutte le Alpi, finanziato da WWF e Frankfurter Zoological Society, il progetto partì con sicurezza. La prima liberazione di neonati avvenne nel 1986 in Austria, poi nel 1987 in Vanoise (Francia), nel 1991 in Engadina (Svizzera), nel 1993 nelle Alpi Marittime (Francia e Italia). La prima riproduzione riuscita (cioè con involo del piccolo) avvenne nel 1998 allo Stelvio (22 nati fino al 2008), altre 2 prime nel 2002 in Vanoise (19 nati fino al 2011) etc. E finalmente 2 nel Gran Paradiso, in quest’anno 2012.
Per quanto mi riguarda, la storia che iniziai nel 1971 è finita come meglio non poteva. Essa è stata un pezzetto di una grande impresa naturalistica che ha coinvolto e continua a coinvolgere tante persone in tutte le Alpi. Non è banale osservare che i nidi dei Gipeti, cioè le roccheforti della nuova popolazione alpina si trovano tutti all’interno o vicini a Parchi Nazionali. Oggi i Gipeti liberi sono circa 150, di cui quasi la metà è nata libera nelle stesse Alpi. Non mi resta dunque altro da fare che ammirarli e manifestare la mia gratitudine a tutti coloro che ho qui menzionato, soprattutto Géroudet e Frey, e altri ancora.
Ovviamente in questo racconto ho omesso molti episodi. Fra i maggiori: nel 1973 convocai ad Aosta con il WWF-Italia un convegno su “Rapaci oggi”, per la protezione legale in Italia di tutti gli uccelli rapaci. Oratori furono Géroudet, A. Toschi, F. Pratesi, S. Frugis, J. F. Terrasse, P. Conder della grande RSPB e altri. La protezione arrivò nel 1977 con la legge n. 968.
Nel 1976 L. Boitani convocò a Roma un convegno su “Reintroduzioni: tecniche ed etica”, che l’IUCN utilizzò e sviluppò largamente in reintroduzioni successive. Nello stesso anno l’ente Parco inaugurava a Rhêmes Notre Dame il suo primo Centro per Visitatori, dedicato completamente al Gipeto. Presso l’edificio campeggia tuttora una splendida statua in bronzo in grandezza naturale del pennuto, opera e dono di Robert Hainard .
Benché piuttosto personali, ritengo interessanti anche un paio di altri episodi. Il primo è la spiegazione del perché nessun sito italiano fu scelto per i primi rilasci dei Gipeti. Il fatto è che Géroudet e la maggior parte dei nostri amici transalpini temevano i pericoli della caccia in Italia. Scriveva Géroudet nel 1974: “Le point noir est l’Italie, car si le Gypaète est protégé sur le papier, des actes irréfléchis seraient à y craindre plus qu’ailleurs” (in litteris). Perciò non so dire se le notizie dei primi tre o quattro abbattimenti di Gipeti liberati, tutti avvenuti oltralpe all’inizio degli anni ‘90, mi recarono più dispiacere per gli uccelli perduti o più piacere per la rivincita nazionalistica ottenuta.
Il secondo episodio mostra il diverso comportamento di francesi e italiani in due vicende simili. Nel 1974 avevo sentito della liberazione apparentemente riuscita di alcune linci presso il Parco Nazionale Svizzero. Dopo avere ottenuto l’assenso verbale del presidente del Parco e quello del presidente della Valle d’Aosta (cosa impensabile oggi, sia per la forma, sia per il merito), liberai nel Parco due Linci catturate adulte dallo zoo di Ostrava (Cecoslovacchia), specializzato in materia. L’accordo prevedeva lo scambio di due coppie di maschio e femmina con due coppie di Stambecchi. Ma all’improvviso furono disponibili due maschi, per di più con la condizione “prendere o lasciare”. Mettemmo alle Linci i radio-collari e le liberammo. Le seguimmo per tre mesi, poi le perdemmo. Una fu trovata morta un anno dopo vicino a Chambéry. Lo scambio finì qui. Fui presto criticato – non solo dai locali, com’era naturale – ma anche da altri sconosciuti. Dovetti rispondere sulla rivista “Airone” a persone che criticavano i nostri rapporti con lo zoo di Ostrava, inventandoseli di sana pianta. Ora l’esperimento francese sopra accennato con i 10 Gipeti afghani non era molto diverso. Eppure il suo autore, come ebbi modo di vedere in seguito, era considerato in patria quasi un eroe nazionale. Decisamente lo spirito patriottico di italiani e francesi è un po’ differente… O forse anch’io avrei dovuto liberare 10 Linci.…

FRANCESCO FRAMARIN 

RIFLESSIONE CONSERVAZIONISTA

di FRANCO ZUNINO 

Come tanti noti ambientalisti, anch’io ho ricevuto da Francesco Framarin la sua sentita “storia di un giovane barbuto”. Egli narra di un successo che ci allieta tutti; un sogno realizzato a merito, ma anche quasi a dispetto, di tanti esperti e tecnici della materia. Il Gipeto è ritornato nella mitica Val di Rhêmes, dove fu ucciso l’ultimo esemplare originario, quello la cui foto fu per anni monito e storia della nostra fauna. Personalmente, dopo essere vissuto per qualche tempo in quella splendida valle alla fine degli anni ’60, dove, giovane guardiaparco, avevo puntato il mio binocolo su quelle pareti che ora hanno accolto una delle coppie di Gipeto di nuovo presenti nel Gran Paradiso – realizzando quel sogno di tanti -, la cosa mi allieta in modo particolare, avendo tante volte immaginato di vederlo di nuovo volteggiare lassù. Il Gipeto, oggi di nuovo fauna delle nostre Alpi, è certamente l’esempio positivo che si contrappone a quello negativo rappresentato da quella foto dell’ultimo esemplare abbattuto in Val di Rhêmes. In fondo è bastato poco, solo un po’ di tenacia e convinzione (e certamente qualche soldo!). Una storia che si è ripetuta anche per ormai tante altre specie e che ancora si ripeterà. Una storia che alla fine, me lo si permetta, sconfessa quell’idea che io ho sempre contestato, che solo con l’abolizione della caccia certe specie si sarebbero potute riportare nel nostro Paese. In realtà bastava semplicemente liberare esemplari delle specie che si voleva reintrodurre, liberarne e liberarne ancora, ovvero insistere, per ottenere il risultato voluto (sì, forse per le Linci Framarin avrebbe semplicemente dovuto liberarne 10 anziché solo 2!). Risultato che nessun’attività venatoria ha contrastato o messo a rischio come in tanti sostenevano (caso mai lo ha fatto solo qualche sciagurato bracconiere o semplice cittadino arrogante ed ignorante difensore di propri interessi – interessi che però spesso la collettività non tutela abbastanza), tanto che è noto come anche il mondo della caccia abbia dato un mano non da poco per il ritorno del Gipeto nelle Alpi centrali. In quanto alla tecnicità, che certamente serve, ma che spesso non è affatto indispensabile, come dimostra la popolazione di decine di migliaia di caprioli presenti nelle province di Savona, Genova, Alessandria, Asti e Cuneo, tutte scaturite da una popolazione di pochissimi esemplari fuoriusciti da una piccola riserva di caccia qui dalle mie parti (per non dire del – pur contestato – ritorno del Lupo nelle Alpi occidentali).
Questa del Gipeto, ma anche di altre specie, sia nel nostro Paese che altrove, è la prova di quello che da anni vado asserendo: che da pochi esemplari di una specie si può ritornare ad avere floride popolazioni di animali, ma un territorio una volta distrutto è distrutto per sempre. Quindi, popolazioni ricostituite di animali che però rischiano di dover poi vivere in territori antropizzati, spezzettati da strade, case, alberghi, funivie e, oggi, centrali eoliche e fotovoltaiche. Di fatto, il rischio sarà quello di avere dei grandi zoo all’aria aperta se non ci si batte affinché almeno parti dei territori in cui queste specie ancora vivono, o possono ritornarvi a vivere, restino selvaggi o si riportino allo stato selvaggio. Un impegno spesso dimenticato, il protezionismo preso com’è da un preponderante animalismo (quasi endemico del nostro Paese!). Io spero che la Val di Rhêmes e la Valsavarenche ora arricchite dal Gipeto (e domani, speriamo, dalla Lince e magari dall’Orso bruno) possano preservarsi territorialmente ed ambientalmente almeno nello stato in cui si trovano oggi; ma senza un impegno per la loro salvaguardia sarà dura ottenerlo, e lo stesso Parco rischia di divenire il volano per uno sviluppo affatto necessario ed affatto “ecologico”. Il progetto di diga e centrale idroelettrica “da fonte ecologica rinnovabile” (!) tra la Val di Cogne e la Valsavarenche è semplicemente l’ultima minaccia a questo eden dove oggi vola di nuovo il Gipeto. Ecco, forse riportare le specie estinte quando di esse ne restano ancora esemplari viventi da qualche altra parte è più facile che non poi preservare i loro territori di vita. Ed in questa battaglia, anche se ad alcuni può sembrare assurdo, proprio il mondo della caccia oggi ci potrebbe aiutare; più degli animalisti, che spesso tendono a difendere il “povero camoscetto” piuttosto che il “cattivo” Gipeto (magari con contrastanti rimorsi di coscienza quando lo devono fare, per l’ottusità di negare il ciclo su cui è basata la vita su questo pianeta e di cui anche l’uomo è parte integrante!); e che più animali vedono più sono felici, anche se magari saltellanti tra le loro case o nei loro giardini o tra strade ed autostrade o sorvolanti le città! La natura selvaggia senza il Gipeto è incompleta e meno selvaggia, ma continua ad esistere; il Gipeto senza la natura selvaggia in cui poter vivere ha solo più un senso ed un valore scientifico, poco diverso dal vivere in una voliera di bioparco!