IL PROBLEMA LUPO IN ITALIA

Un documento politicamente scorretto per il solo fatto che descrive una verità ritenuta scomoda, ma che lo stesso Aldo Leopold, il cacciatore-ecologo americano che tanti animalisti citano per la sua presa di coscienza sull’importanza di proteggere il Lupo e gli animali predatori in genere per la loro funzione ecologica, oggi sottoscriverebbe, proprio ed anche al fine di una sua prolungata protezione.

Non lo avevamo mai considerato tale, e forse qualcuno si era anche illuso che mai saremmo giunti a ritenere il Lupo un problema. Un problema lo era, ma per noi ambientalisti; il problema era quello di evitare di farlo estinguere. E ci siamo riusciti, prima con una campagna in sua difesa, lodevole vista la riduzione che la popolazione aveva subito nel secolo scorso, sostenuta soprattutto dall’allora neo-nato WWF Italia e valorizzata dall’impegno profuso dal Parco Nazionale d’Abruzzo sotto la guida dell’allora brillante nuovo Direttore Franco Tassi: “l’Operazione San Francesco” in difesa del Lupo si concluse con il decreto del 1976 a firma dell’allora Ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora, che per la prima volta in Italia dava una protezione totale a quest’animale. Oggi il Lupo è di nuovo un problema anche per noi ambientalisti, ed anche se molti lo vogliono negare: almeno in alcune zone sono certamente troppi!
Allora si parlava di solo 100 lupi distribuiti in centro e sud Italia. A quell’epoca, a dire il vero, io già sostenevo che 100 lupi erano presenti nel solo Abruzzo e ristrette zone limitrofe; una tesi basata sulla mia esperienza in quel Parco ed in quella regione (dai 10 ai 20 erano allora i lupi stimati nel solo Parco: oggi per la stessa area si parla di circa 60).
Nel nostro emisfero il Lupo è forse l’animale con più capacità di sopravvivenza di ogni altro, Orso bruno compreso: poco esigente, capace di adattarsi sia ai cambiamenti ambientali senza la necessità di spazi selvaggi, sia ai bisogni alimentari (dalle minuscole lucertole e topolini di bosco ai grandi erbivori domestici e selvatici, agli scarti alimentari umani). Se così non fosse stato il Lupo si sarebbe estinto già nella prima metà del secolo XIX, quando fu cacciato ed ucciso in tutti i modi legittimi ed illegittimi, con fucili, trappole e veleni. Ebbene, questa capacità di sopravvivenza è ancora oggi attuale e va tenuta nella debita considerazione nel valutare l’attuale problema. Ed è proprio per questa sua capacità che oggi il Lupo può considerasi ormai presente in quasi tutte le zone montagnose e collinari d’Italia (salvo le isole), grazie alla sua proliferazione ed a qualche “aiutino” dato dai francesi per quanto riguarda le Alpi, benché vi sia chi si ostini a voler credere ad un suo ritorno naturale dagli Appennini. Dovrebbe essere difatti notorio che fino alla metà degli anni ’80 il Lupo non raggiungeva ancora la Toscana, per altro anche secondo le autorevoli pubblicazioni dell’epoca; notizia questa ancora oggi non solo smentita dai tanti “esperti” ma anche dallo stesso esperto che a quell’epoca ne certificò la presenza massima verso nord ai Monti Sibillini (Boitani 1981). Ed allora non è che nel centro-nord dell’Appennino non ci fosse chi cercava il Lupo, forse più di quanto non lo si cerchi oggi. Eppure oggi ci dobbiamo sentire dire dai soliti noti che il Lupo era da tempo già presente in Toscana e finanche alla Liguria. E lo dicono senza uno straccio di prova, solo per giustificare un loro desiderio che così fosse, e dimostrare pertanto il “ritorno naturale” nelle Alpi, visto che la prova più attendibile ed autorevole è lì a smentirli, per chi la voglia andare a cercare nelle librerie specializzate (perché quell’autorevole volume è una costosa rarità bibliofila: si veda nella nota Boitani 1981).
Ma questo è un altro argomento, già ampiamente trattato altrove, sebbene ancora oggi continuano a trovarsi persone felici del facile incontro in Piemonte con quest’animale dai comportamenti quasi domestici, cosa assai rara se non impossibile in Appennino (come se il cambiamento ambientale avesse comportato un cambiamento comportamentale nei riguardi dell’uomo!): ma questo non interessa a nessuno, evidentemente, salvo ai pastori ed allevatori delle Alpi che non per nulla forse subiscono la maggior parte dei danni registrati in Italia. Oggi nelle Alpi il Lupo c’è e tanto basta! La sua purezza genetica la stabiliranno i posteri.
Fatto sta, oggi in Italia si stima la presenza di circa 600 lupi (ma qualcuno dice anche 1.000). Una cifra ridicola, seppure fatta propria anche dalla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati nella sua relazione del 20 luglio 2011 (documentatasi sui rapporti del WWF, LIPU, Federparchi, associazioni venatorie ed agricole), che quest’estate ha scatenato un nuovo interesse verso quest’animale, avendone per la prima volta cominciato a proporne la riduzione del numero per difendere gli interessi degli allevatori e dei pastori in genere.
Il problema fondamentale è che, al di là di alcune stime localizzate basate sugli ululati, nessuno sa quanti lupi ci siano oggi in Italia. Perché il Lupo non è certo un animale la cui presenza si possa calcolare con dei conteggi a vista come si fa con cervi, cinghiali o camosci. Bisogna giocoforza basarsi su stime ed estrapolazioni.
E allora facciamola questa estrapolazione, partendo da quel numero massimo dei circa 100 lupi dati per presenti in Italia nel 1970 (Boitani 1981) ed utilizziamo dati scientifici, che sono: i lupi possono formare branchi da un minimo di 2 esemplari (maschio e femmina) a contingenti molto più numerosi (4-8 animali ed eccezionalmente anche oltre la decina: Boitani 1981). Per ogni branco si accoppia solo la femmina più anziana (Boitani 1981). Ogni femmina partorisce dai 4 ai 6 cuccioli (Boitani 1981). L’unico dato incerto è quello sulla mortalità, in quanto a nessuno è noto quanti cuccioli raggiungano l’età adulta (ma è notorio il fatto che sono la maggior parte, vista la robustezza della specie, come d’altronde è per la volpe) né è noto quanti lupi siano ogni anno uccisi da cacciatori e allevatori. Ma certo, stimare un’arbitraria mortalità del 30% annua potrebbe essere una buona base per un calcolo senza rischiare di sbagliare in difetto e di avere una decrescita – che non c’è stata come dimostra la consistenza attuale della popolazione -, essendo poco credibile un dato superiore (per altro, con una mortalità calcolata del 40% non vi sarebbe crescita), altrimenti il Lupo si sarebbe estinto già nell’800 e/o prima metà del 900 quando non godeva di alcuna protezione!
Una cosa è certa ed è un altro fatto da tenere presente in questo calcolo: i lupi sono sempre progressivamente aumentati, e ne è riprova la loro continua espansione territoriale a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e l’attuale consistenza, stimata da un minimo di 600 ad un massimo di circa 1.000 lupi. Iniziando da questo dato di fatto e dai dati succitati, e prendendo sempre il numero minino al fine di un conteggio prudenziale, facendo un calcolo composto ed esponenziale, ecco cosa si ottiene: partiamo dai 100 lupi stimanti nel 1970 (sebbene, come già scritto, probabilmente fossero assai di più); per ragioni biologiche dobbiamo presupporre che essi fossero formati da piccoli branchi di 2 o 3, forse anche 4 o 5 individui (benché nel 1970 i branchi fossero al massimo di 5 individui o anche meno, quindi con un maggior numero di femmine adulte in grado di riprodursi e benché in Italia branchi eccessivamente numerosi siano molto rari per motivazioni ambientali e comportamentali – Boitani 1981), ma, per tenerci larghi e considerare una media durevole negli anni, partiamo dal dato di solo 10 branchi formati ognuno da 10 individui; con una femmina fattrice per ogni branco. Ho scelto appositamente un calcolo iniziale molto prudenziale.
Per quanto riguarda le nascite, volutamente le sottostimiamo soli 4 cuccioli per femmina, anche se di norma si parla di 4-6 cuccioli.
Per quanto riguarda la mortalità, per i motivi già detti prudenzialmente (ma con evidente esagerazione!) stimiamo una mortalità annua complessiva (cuccioli ed adulti) del 30% sul totale della popolazione.
Facendo un calcolo progressivo ed esponenziale ecco cosa si ottiene (per semplicità cito solo i dati ogni 5 anni):

Anno Lupi femmine nati morti Totale
1970 100 10 40 30 110
1975 159 15 60 47 172
1980 245 24 96 73 268
1985 388 38 152 116 424
1990 617 61 244 185 676
1995 984 98 392 295 1.081
2000 1.576 157 628 472 1.732
2005 2.532 253 1.012 759 2.785
2010 4.072 407 1.628 1.221 4.479

Troppi? Non lo so, ma è certo che il calcolo è stato fatto tutto prudenziale, prendendo al ribasso tutti i dati variabili. Vogliamo essere critici al massimo? Ok, facciamo un taglio del 50% tenendo conto di variabili non previste: abbiamo comunque oltre 2.000 Lupi! Una popolazione per di più in continua esponenziale crescita. E a provare questo tentativo di stima abbiamo la situazione spagnola, dove è notorio che dai circa 200 lupi stimati negli anni ’70 (Boitani 1981) oggi si stima una presenza di oltre 3.000 lupi (pur non avendo goduto di alcuna protezione prima di vent’anni fa e, addirittura, sia stato soggetto ad una limitata caccia in metà della Spagna dove la specie era ed è maggiormente presente). Una stima che, quindi, dà validità alla mia ipotesi ed al mio calcolo, partendo entrambi da una base quasi equivalente, tenuto conto che quei numeri iniziali erano meramente indicativi (come, almeno per l’Italia, all’epoca io già presupposi):

Spagna anni ’70: circa 200 lupi – 2011 circa 3.000!
Italia anni ’70: circa 100 lupi – 2011 circa 4.000 (ridotti a circa 2.000 per zelo)!
Altro che i 600 ufficialmente stimati! O mentono gli spagnoli o mentiamo noi!

E con una tale presenza di animali superpredatori vogliamo opporci all’idea di controllarne la popolazione? Pretendiamo ancora di pagare tutti i danni che arrecano e che, secondo la succitata Commissione parlamentare, solo in Provincia di Grosseto sarebbero già stati di 5 milioni di euro (!); ed anche questa è una stima prudenziale al ribasso, ovvero assolutamente non corretta perché oggi le leggi, di fatto, prevedono che i danni siano solo parzialmente pagati agli allevatori. Ad esempio, non vengono pagati i capi dispersi di cui non si riescono a rinvenire i resti (recentemente nel cuneese i lupi hanno assalito un gregge di pecore: 21 capi sono andati perduti, ma solo di 8 sono stati trovati resti e quindi per la legge solo questi saranno rimborsati).
In Norvegia, Svezia e Svizzera forse esagerano a limitare con gli abbattimenti il numero dei lupi pur avendone poche decine sui loro territori, ma certamente non è la nostra situazione, dove pur limitando la presenza dei lupi non si mette certo a rischio la popolazione. Più simile alla nostra situazione è quella spagnola, dove difatti le autorità avrebbero (hanno?) già ottenuto dall’Unione Europea l’autorizzazione a ridurne il numero.
Da noi il problema è quindi, caso mai, solo quello di stabilire di quanto ridurre la loro presenza, il dove ed il come. Al solito, ancora una volta abbiamo l’esempio americano a venirci incontro. Nel Minnesota dove esiste l’unica popolazione originaria del cosiddetto “Lupo grigio” negli States, costituita da diverse migliaia di esemplari (erano stimati circa 1.000 nel 1980), le autorità hanno stabilito tre fasce territoriali. Nella prima fascia il Lupo è protetto in forma assoluta, nella seconda fascia, in caso di danni eccessivi, le autorità preposte alla gestione della fauna sono autorizzate ad abbattere gli individui responsabili delle aggressioni, nella zona esterna a queste due fasce gli allevatori possono liberamente abbattere i lupi (cosa peraltro oggi consentita, sotto controllo, in tutti gli USA). Altra soluzione non esiste se si vuole contenere la presenza del Lupo e nello stesso tempo proteggerlo riducendo i danni che esso arreca agli animali domestici.
In Italia si potrebbero almeno similmente stabilire delle aree (per semplicità e praticità, demarcate dai limiti comunali) comprendenti i Parchi e loro zone marginali dove la protezione sia assoluta, una fascia esterna dove gli abbattimenti possono essere autorizzati e consentiti a cura delle autorità (guardie forestali, guardiacaccia o anche cacciatori autorizzati e dietro versamento di una somma da stabilirsi, e da devolversi ai rimborsi) nei casi di danni provati agli allevatori. Ed infine, il resto del territorio dove i pastori ed allevatori siano autorizzati agli abbattimenti nei casi di aggressioni al bestiame pur che questi abbattimenti avvengano nelle ristrette vicinanze delle mandrie, greggi o degli stazzi e stalle. Ciò a fronte del fatto che in ogni modo i danni andranno pagati al 100% a prezzo di mercato, compreso un bonus per i danni indiretti. Se il Lupo è, quale è, un patrimonio culturale e scientifico per la nostra comunità, allora TUTTI i cittadini devono pagare per la sua salvezza, e non solo gli allevatori!
D’altronde, è inutile illudersi (o meglio, ostinarsi a sostenere!) che la crescita della popolazione del Lupo sia stata di sole poche centinaia di individui dal 1970, quando a parte il citato esempio spagnolo, esiste quella che è forse la prova regina, sia in merito alla crescita sia in merito ai danni che i lupi arrecano. Nell’area dello storico Parco Nazionale Yellowstone furono liberati i primi lupi nel 1995. La crescita della popolazione è letteralmente esplosa: nel 2008 benché ne fossero già stati legalmente uccisi 264, se ne stimava una presenza di 1.600 esemplari suddivisi in 200 branchi! E così la crescita dei danni arrecati agli allevatori, benché si sia in presenza di popolazioni di ungulati selvatici tra le più ricche del mondo (cervi di varie specie, bisonti, antilocapre) che pure hanno subito una riduzione drastica; prova che per tanti cervi, cinghiali e caprioli ci possano essere sul territorio, il Lupo andrà sempre a colpire l’anello più debole della catena alimentare e di più facile predazione: pecore, vitelli e cavalli!
Ostinarsi a sostenere che nessun Lupo possa essere abbattuto significa fomentare un bracconaggio indiscriminato e non considerare i diritti liberali e democratici degli allevatori e dei pastori a tutela delle loro proprietà. E non è così che si salvano le specie a rischio, ma tutelando anche i diritti di chi a causa della presenza di queste specie subisce dei danni economici, quindi creando consenso non solo tra gli animalisti di città (che si beano della visione di belle foto e dipinti di lupi nei vari siti di Internet e che non si preoccupano dei danni che questi arrecano ad allevatori e poveri pastori!), ma soprattutto nelle comunità rurali dove la presenza del Lupo è sentita come una calamità. D’altro canto, anche la Convenzione di Berna per la tutela delle specie di fauna selvatica “consente di considerare il Lupo specie solo parzialmente protetta quando produca danni eccessivi”. E allora, vogliamo essere più realisti del re e continuare ad interpretare le leggi e le direttive sempre in senso negazionista quando esse prevedono anche l’inverso? Come disse qualcuno: in un sistema democratico la libertà individuale cessa nel momento in cui questa libertà incide negativamente sulla libertà altrui. Un principio sacrosanto, che vale anche per il Lupo!

Come deve valere il principio di non usare mistificazioni e/o vere e proprio bugie per difendere una causa giusta! E la difesa del Lupo è certamente una causa giusta. Ma si può difendere il Lupo con egoismo ambientalista? Infine, come non chiederci: ma se al posto dei pastori ci fossero operai metalmeccanici, si sarebbe sempre politicamente corretti nel condannarli a subire i danni dalla presenza del Lupo? Cosa distingue le due categorie sociali, una da condannare l’altra da comprendere? La possibilità di capitalizzare dei primi e lo stipendio fisso dei secondi?

Nota – BOITANI 1981. Lupo Canis lupus Linnaeus, 1758, in “Distribuzione di 22 specie di mammiferi in Italia (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni Autonome – Istituto di Entomologia dell’Università di Pavia) Roma 1981.

POST SCRIPTUM
Benché snobbato e/o ignorato, vilipeso e rigettato di principio da gran parte del mondo ambientalista (anziché, caso mai, contestarlo e confutarlo nel merito come sarebbe stata buona regola democratica e del vivere civile, nel rispetto del diritto di pensiero e parola che anche la nostra Costituzione tutela) il Documento sopra pubblicato è stato, al contrario, letto con attenzione dalla XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati che si sta occupando del problema dei danni che cinghiali e lupi stanno arrecando agli agricoltori ed agli allevatori – e/o pastori – in tutto il Paese. Secondo quanto comunicato al Segretario Generale dal Presidente della Commissione, detto Documento sarà infatti tenuto in debita considerazione. Soprattutto un’attenzione particolare sarà data a quanto attiene la “strategia rappresentata in merito alla presenza del Lupo – consistente, per sommi capi, nell’individuare tre categorie di aree, con diversi gradi di protezione – la quale costituisce una proposta che potrà essere approfondita nel corso dell’attività legislativa che la Commissione si propone di svolgere”.
Evidentemente c’è ancora qualcuno in questo Paese che sa usare la logica e la ragionevolezza per cercare di risolvere i tanti problemi che la società ci pone, in questo caso quello che un’ECCESSIVA presenza di cinghiali e di lupi non possa essere sostenibile in un Paese sovrappopolato e sviluppato come il nostro.
Un problema che, peraltro, sconfessa tutte le tesi “ecologiche” sul fatto che proprio la presenza del Lupo avrebbe provveduto a mantenere basse le popolazioni di ungulati, cosa che, invece, regolarmente non avviene; almeno nel nostro Paese. Gli infatuati del “totem” Lupo, idealizzato ed immaginato quale simbolo di un mondo selvaggio che da noi non esiste più se non in scampoli di aree assoggettate e racchiuse tra paesi e città, zone agrarie e pascolive, strade ed autostrade (dove ormai anche il Lupo è costretto a vivere), ignorano la variabile che se una tale regola può valere per le grandi aree di wilderness del nord America o dell’Europa ed Asia dove le uniche popolazioni di erbivori sono gli ungulati selvatici (ma, purtroppo sempre più spesso, anche lassù l’uomo è costretto ad intervenire per ridurre la consistenza del Lupo), ciò, soprattutto, non può avvenire in un Paese come il nostro, dove la presenza degli armenti domestici supera di gran lunga quella dei selvatici. E’ una semplice questione di buon senso, ma spesso il buon senso viene seppellito sotto una coltre di illusioni eco-animaliste le quali finiscono per fare ancora più danno a quelle specie animali che si vorrebbe proteggere, come il Lupo o l’Orso. Non è, infatti, che si possano salvare orsi e lupi ignorando i diritti dell’uomo, con la pretesa (non dichiarata, ma di fatto avallata) che i cittadini che subiscono i danni da Lupo e Cinghiale debbano pagare per il diritto di tutta la società a godere della presenza di questi animali, anziché essere la società a pagare i danni che la loro presenza arreca a pochi cittadini. Le regole ecologiche vanno bene nella teoria, ma nella pratica vanno sempre corrette con un poco di buon senso!
Il Lupo si salva rispettando i diritti di chi dal Lupo subisce dei danni. Non trasformando i maggiori “supporter alimentari” del Lupo nei suoi peggiori nemici!

di Franco Zunino

Note: ANCORA SUL LUPO, IL SUO RITORNO NELLE ALPI E LA PREDAZIONE:
QUANTE VERITÀ SCOMODE!

Per concludere, eccola una notizia affatto confortante per chi ha criticato il Documento dell’AIW sul problema del Lupo in Italia e sulla tesi, da sempre sostenuta dal sottoscritto, che il Lupo sulle Alpi piemontesi sia arrivato dalla Francia e non dall’Appennino. La rivista Piemonte Parchi edita dalla Regione Piemonte, da sempre sostenitrice della difesa del Lupo delle Alpi a prescindere dalla sua provenienza (peraltro sempre da loro data per certa come appenninica) e che negli anni scorsi aveva sempre cercato di minimizzare i danni dei Lupi, nel suo ultimo numero (8 – agosto/settembre 2011) in un articolo a firma della collaboratrice Claudia Bordese così riporta:
“(…) i lupi sono tornati a calcare le vallate alpine piemontesi (…) sconfinando dalla Francia, poi avanti fino all’Ossola. (…) come tutte le medaglie anche questa ha il suo rovescio. Le nostre montagne sono da secoli fonte di sostentamento per chi si dedica all’allevamento di ovini e caprini. (…) Gli attacchi – circa 300 nella sola stagione d’alpeggio 2009 in Piemonte – generano danni che vanno ben oltre il numero dei capi uccisi. Si devono infatti mettere in conto anche i molti animali feriti e quelli dispersi, quelli che per sfuggire all’attacco sono precipitati in un dirupo, o che per la paura hanno drasticamente ridotto la produzione di latte. Lo scompenso psicologico, inoltre, indebolisce ulteriormente i sopravissuti. I costi di gestione aumentano, perché gli animali non possono più essere lasciati soli, e sovente si deve ricorrere all’impiego di recinzioni elettrificate o all’uso di cani da guardiania. (…) i cani, istintivamente preparati ad attaccare e respingere i lupi, possono a volte rivelarsi un problema per l’escursionista di passaggio. Al tutto si somma il disagio psicologico di operare nella costante aspettativa di un attacco. E’ evidente che non è sufficiente la compensazione economia dei capi uccisi per risolvere il problema.”
In altre parole, sono le stesse cose che si possono leggere nel mio Documento “Il problema Lupo in Italia”, solo che a scriverle non è Franco Zunino ma Claudia Bordese collaboratrice di Piemonte Parchi, e sono parole che sembrano echeggiare la relazione della Commissione Agricoltura della Camera che sta esaminando questo problema! Non resta che augurarsi che detta Commissione tenga conto di questo articolo che, ripeto, non proviene dal solito Franco Zunino e pubblicato dallo (per molti) “spregevole” “Wilderness/D”, ma da altra persona e pubblicato da un giornale autorevole ed ecologicamente schierato “dalla parte giusta” (ancorché una posizione super partes sarebbe richiesta, vista la sua dipendenza politica da una Regione e quindi a rappresentare tutti i cittadini della stessa) che fino a ieri sul ritorno del Lupo nelle Alpi ha sempre sostenuto (Direttori in testa!) una tesi nettamente opposta. Per non dire dei danni che i lupi stanno infliggendo alla pastorizia piemontese, fregandosene (i lupi) delle migliaia di cinghiali, cervi e caprioli che popolano il suo attuale areale e delle belle teorie da manuale ecologico che tanto piacciono agli animalisti ed ecologisti da strapazzo (o, meglio, da banchi di scuola): gli anelli più deboli della catena alimentare del Lupo in Europa erano e restano sempre la pecora, la capra, il cavallo ed il vitello!
Peccato che quest’articolo “coraggioso” (perché in contraddizione con tutti gli articoli apparsi in precedenza sulla stessa rivista – ripeto, spesso diretta da animalisti anticaccia convinti!) si perda però poi nel finale, là dove anziché trovare il coraggio di dire anche che i lupi devono essere ridotti di numero, la Bordese si barcamena con le parole ed annuncia la solita soluzione all’italiana: una commissione di studio (“progetto PROPAST”) per stabilire cosa fare! Ma è già qualcosa, visto che fino a poco tempo fa i due argomenti trattati, messi oggi nero su bianco da Piemonte Parchi, erano un tabù. Se non altro si riconosce che un problema esiste; e sì, è già qualcosa!

IL LUPO NELLE ALPI

Dubbi, indizi e verità nascoste. Il caso del lupacchiotto di Ormea (Cuneo)
Ecco, sono tornati i lupi, hanno scritto i giornali del savonese negli ultimi giorni di ottobre del 2010. Ma i lupi non stavano tornando, stavano e stanno solo arrivando sempre più numerosi… E non provengono dagli Appennini, ma dalle Alpi, cioè dal ceppo da cui la popolazione si è generata dopo le ripetute liberazioni fatte sul versante francese da parte degli amanti di quest’animale, che pur di averlo non hanno esitato a liberare quelli che detenevano nei propri recinti d’oltralpe, senza andare troppo per il sottile in merito alla loro purezza genetica e provenienza geografica, come ha stabilito una Commissione d’inchiesta del governo francese qualche anno fa (con una documentata relazione in tre volumi per un totale di quasi 1.000 pagine, di cui in Italia tutti ignorano l’esistenza, o fingono di ignorarla).
Nel vicino cuneese fu catturato un lupacchiotto che gironzolava per il paese di Ormea, nell’alta Val Tanaro. Un lupacchiotto, a fine ottobre, è certamente strano, tenuto conto della biologia di quest’animale, in quanto in autunno i giovani nati in primavera dovrebbero già avere le dimensioni degli adulti e non già essere cuccioli; segno forse di una purezza della razza molto discutibile, come avviene per i cinghiali ibridi che si riproducono anche in pieno inverno. Ma saranno gli studiosi a dover redimere questa spinosa questio, sperando che la loro obiettività non sia pari al dimenticatoio in cui hanno relegato la suddetta relazione del governo francese.