“RINVERDIRE” I PARCHI NAZIONALI

IL RUOLO DELLA WILDERNESS 

Nelle parole di uno dei leader americani che hanno difeso sia i Parchi sia la Wilderness, una critica pesante che come una fotocopia combacia con la storia e l’attualità dei nostri Parchi Nazionali, anch’essi trasformatisi da regioni un tempo integralmente selvagge e rurali ad assembramenti di luoghi divisi l’uno l’altro da strade di ogni tipo, punteggiati da case e costruzioni ed erosi da iniziative turistiche di ogni genere. Nella traduzione si è mantenuto il termine “rinverdire” (re-greening), ma che nel significato americano è piuttosto quello di “rinselvatichire”. 

Nella sua pionieristico guida pubblicata nel 1917, un anno dopo che il Congresso ¹ votò per istituire il National Park Service (il Servizio dei Parchi Nazionali), Enos Mills scrisse: “Così protette, queste aree di wilderness rimarranno per sempre selvagge, per sempre misteriose ed originali, luoghi dove il visitatore potrà provare il fascino della vita all’aria aperta, l’emozione dell’esplorazione”.
Questo fu il presupposto di quel tempo, ed esso sembrò restare valido per molti anni. Dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, i luoghi selvaggi dei nostri Parchi Nazionali (così come quelli delle altre aree protette federali) ² si sono sempre più ridotti, non sono stati più sicuri. Fortunatamente, nel momento critico, un’epocale nuova legge, il Wilderness Act del 1964, ha rappresentato un punto di svolta nella storia americana: un riconoscimento del fatto che i luoghi selvaggi sono essenziali per la nostra vita e per la nostra cultura; ma essi devono essere costantemente difesi dall’intrusione della nostra tecnologica super-civilizzazione.
Parchi Nazionali ed aree di wilderness sono stati lungamente importanti nella mia vita, non solamente negli Stati Uniti ma anche altrove nel mondo. Io ho incoraggiato e sostenuto l’approvazione del Wilderness Act. Per me anche adesso il suo testo suona più come una poesia che non come una legge e suscita in me un’emozionante reazione interiore. Inoltre, questa legge pone la wilderness al centro di una società sana e di un mondo morale. Fino alla sua approvazione il sistema americano riservò i termini risorsa o risorsa naturale solo per materie economiche quali: legname, petrolio, suolo, minerali e idroelettrico. Nel descrivere la wilderness come una “risorsa”, il Congresso tenne conto del singolare input di Howard Zahniser ³, l’allora Direttore esecutivo della Wilderness Society, il quale stese gran parte della legge. Così facendo, il Congresso allargò la definizione di questo termine includendovi le definizioni di spazio, bellezza, solitudine, silenzio e biodiversità. Creando così una trama affinché la protezione della wilderness delle terre demaniali fosse legittimata al pari delle industrie estrattive.
Ma tale indirizzo verso la preservazione, come in ogni manifestazione di etica e di idealismo, non avviene facilmente in un sistema dominato dal materialismo e dalla produzione. Nel caso del Wilderness Act, la sua approvazione avvenne dopo anni di discussioni e dibattiti tra il Senato e la Camera dei rappresentanti, e dopo ben 18 separati incontri con i cittadini condotti da comitati del Congresso in tutto il Paese. La legge fu riscritta più e più volte, approvata dal Senato e poi trasmessa blindata alla Camera. L’idea di dare una legittimazione alla wilderness fu aggressivamente contrastata dalle industrie del legname e da quelle delle prospezioni petrolifere e delle miniere. Anche il National Park Service ed il Forest Service vi si opposero: un precedente da record (l’autorità pubblica può comprare la terra, ma gli amministratori preferiscono esercitare le proprie prerogative senza sottostare ad autoritarie decisioni operative, un punto di vista che prevalse a lungo dopo l’approvazione della legge) 4. Ma la gente, tutta la gente, si unì e sostenne la causa della wilderness. Lo sforzo concentratosi a favore dell’approvazione della legge fece del Wilderness Act un imponente motivo di condivisione popolare a livello nazionale.
Io collaborai strettamente con Howard Zahniser, il principale autore del Wilderness Act. Egli approfondì ogni tematica, l’articolò e fu comprensivo verso i vari problemi che la legge comportava. “Noi non stiamo combattendo il progresso”, egli diceva. “Noi lo stiamo realizzando. Noi non ci stiamo occupando di una wilderness che sparisce, ma stiamo lavorando per una wilderness che resti per sempre.” Nel 1956 il parlamentare John P. Saylor dello Stato della Pennsylvania presentò la legge alla Camera. Egli era un repubblicano conservatore. Nonostante questo, per otto anni egli guidò la battaglia legislativa senza mai recedere dal suo intento. Nel 1961, quando le cose si stavano mettendo male per la legge, egli dichiarò: “Io non posso credere che il popolo americano sia divenuto così ottuso, così dollaro dipendente, così coscientemente sfruttatore da volere sfruttare ogni ultimo piccolo pezzo di wilderness che ancora esiste.”
Quella legge fece degli Stati Uniti d’America la prima nazione del mondo a riconoscere, con un atto governativo, la wilderness quale parte della sua cultura ed eredità. L’adozione del Wilderness Act, che istituiva il National Wilderness Preservation System (Sistema nazionale della wilderness protetta), rinforzò un sentimento pubblico verso la natura ed un desiderio di godere della possibilità di ricrearsi con un’autosufficiente e fisica sfida. Altre leggi con finalità similari furono anche approvate in quegli anni ’60, tra le quali il Wild and Scenic Rivers Act (Legge per i fiumi selvaggi e scenici) ed il National Trails System Act (Legge per un sistema nazionale di sentieri) 5.
Mi rincresce dover ammettere che il National Park Service non abbia mai veramente provveduto a “celebrare la wilderness”, né come principio legislativo né come una risorsa da esso amministrata. Nel Preserving Nature in the National Parks: A History – (Storia della protezione della natura nei Parchi Nazionali) – ed. 1997 e 2009), lo storico Richard West Sellars (che ha lavorato per molti anni nei parchi nazionali) scrive:
Il Wilderness Act del 1964 è stato il primo atto legislativo a porre delle restrizioni alla gestione delle zone selvagge da parte del Park Service dal 1916 quando fu istituito il National Park Service. Abituato da tanto tempo a gestire liberamente i Parchi Nazionali, il Servizio restò indifferente al passaggio del Wilderness Act del 1964 (pur essendovisi opposto in tutti i modi, n.d.t.), asserendo che la legge non era necessaria e che le zone selvagge dei Parchi Nazionali erano già adeguatamente protette.
Quest’attitudine è ancora forte oggi. Secondo la mia opinione, è il principale fattore che spiega l’indifferenza che il Park Service ha sempre dimostrato a partire dal 1964 verso un programma di aree di wilderness protetta. Il National Park Service non riconosce chiaramente – nella politica e nella pratica – la differenza gestionale tra le Aree Wilderness e le aree selvagge interne dei parchi che il National Park Service sta, in effetti, gestendo secondo il molto più permissivo National Park Service Act del 1916; e non condivide il più severo e restrittivo Wilderness Act del 1964.

Sellars non è l’unico a parlare in questi termini. Jim Walters, uno dei coordinatori del programma wilderness del National Park Service, è anche lui d’accordo sul fatto che detto Servizio non si vuole prendere le proprie responsabilità. Quando, per punizione a causa di questa sua dichiarazione, gli fu ordinato di trasferirsi, egli preferì licenziarsi, ed il 22 gennaio 2004 inviò questa dichiarazione al suo direttore:
Dopo 40 anni il National Park Service ha fatto relativamente poco per dimostrare di essersi preso seriamente le proprie responsabilità nella gestione della wilderness, né ha organizzato un programma di gestione che ragionevolmente provveda giorno dopo giorno ed a lungo termine alla preservazione di questa risorsa. Il fatto che il Servizio si è evidentemente scontrato con le responsabilità basilari richieste dal Wilderness Act è dimostrato dalla sua politica, che dopo tutto questo tempo ha generato una crescente diffidenza del Servizio agli occhi del pubblico e specialmente della comunità degli ambientalisti. Questa diffidenza è esacerbata dal crescente numero di incidenti tra loro ed il Servizio, quando lo staff del National Park Service viola la lettera e lo spirito del Wilderness Act e le sue stesse direttive per la gestione della wilderness, con poche o nessuna conseguenza.

A causa di ciò, le zone selvagge interne dei Parchi Nazionali di Yellowstone, Yosemite, Grand Canyon ed altri grandi parchi, non sono altro che centri turistici, con la loro commercializzazione conseguente. In California, la stretta piccola Yosemite Valley, con 30.000 visitatori al giorno, è molto più simile ad una città che non ad un Parco. Questi luoghi sono definiti dal Parco “aree sacrificate”, purtroppo, dando così loro una legittimazione.
La stessa cosa può dirsi per il Parco Nazionale Grand Teton, nel Wyoming. Il lago che sembra così naturale è in realtà un bacino artificiale che fluttua in continuazione ed è ripopolato con pesci di specie non autoctone 6. I visitatori del Grand Teton vi trovano un fiume, lo Snake, le cui esondazioni sono artificialmente controllate, mandrie di vitelli e vacche pascolanti, lussuosi alberghi, ranch per ospiti, un aeroporto, un’autostrada, vi è praticata la caccia alla grande selvaggina e per tutto l’inverno scorazzano le motoslitte; tutto questo in un Parco Nazionale.
L’artificialità è stata largamente diffusa in tutti i parchi. Essa sminuisce le emozioni. E’ un fatto comune, nonostante le migliori intenzioni e ben intenzionate persone a far cambiare le cose. Qualche direttore di Parco ha fatto qualcosa per rimediare, un poco qui ed un poco là 7, ma la storia dimostra che il primo passo contro la wilderness è il peggiore, perché porta a nuove illusioni che sostituiscono la vecchia realtà della vita naturale in luoghi naturali.
I Parchi furono istituiti come spettacoli scenici (da preservare n.d.t.). Ora noi sappiamo che in realtà sono molto di più. Nell’interminabile sforzo di ottenere e sostenere un qualitativo ambiente di vita, i Parchi Nazionali contribuiscono con la loro esistenza a dei modelli di ecosistemi, bacini o campi, di biodiversità e di ambiente ripristinati. In una parola, dove nulla rimane statico, essi, logicamente, sono i luoghi per monitorare e documentare i cambiamenti ecosistemici globali.

La sfida è di elevare e poi sostenere la qualità dei Parchi Nazionali. Portarli a migliori condizioni di quelle in cui li troviamo è un importante lascito di questa generazione per il futuro. Forse il più importante ruolo delle terre demaniali è quello di salvaguardare la wilderness, la natura incontaminata. La wilderness, al di là di tutte le sue definizioni, scopi ed usi, è spazio sacro, con un potere sacro: il cuore di un mondo morale. La preservazione della wilderness non è tanto un metodo o una tattica, ma un modo per comprendere la sacra connessione con tutta la vita, con la gente, le piante, gli animali, l’acqua, la luce del sole e le nubi. E’ un’attitudine ed un modo di vivere con una ecologica dimensione spirituale.
Nel proteggere la wilderness affinché ne rimanga una parte per sempre misteriosa e primitiva, noi scopriamo noi stessi ed il nostro spirito interiore chiamato anima.

Io vedo la wilderness come un santuario dello spirito, il cuore di un mondo morale governato dalla pace e dall’amore.

L’idea Wilderness arricchisce il mio corpo, la mia mente, il mio spirito, ma essa anche mi spinge a guardare avanti oltre i miei desideri e le mie necessità.

di Michale From*

Note: (*) Michael Frome è uno dei più anziani conservazionisti d’America. Un ben noto scrittore, autore di numerosi libri sui Parchi Nazionali americani e sulle battaglie per proteggerli. Famoso il suo Battle for the Wilderness, dove fa la storia della Wilderness Society. Questo suo articolo è apparso sull’International Journal of Wilderness, August 2011 Vol. 17 n. 2. Di esso ne è qui pubblicata la parte ritenuta più interessante, completata dalle note, da parte del traduttore (Franco Zunino).

1. Il Congresso americano è l’equivalente del nostro Parlamento.

2. Negli USA le aree protette nazionali (o federali) si suddividono in numerose categorie, tutte gestite da vari Servizi o organismi pubblici. Le più note sono i Parchi Nazionali, le Aree di Ricreazione, i Monumenti Nazionali, le Spiagge Nazionali, i Rifugi Faunistici, le Foreste Nazionali, le Aree Wilderness, i Fiumi Selvaggi, le Aree di Conservazione, i Paesaggi Protetti ed altre aree minori.

3. Howard Zanisher è stato uno dei fondatori della Wilderness Society. Per una sua sintetica biografia si veda in Wilderness/Documenti N. 4/2004.

4. Come è già stato evidenziato in precedenti articoli apparsi in Wilderness/Documenti, il National Park Service è stato un acerrimo oppositore del Wilderness Act. I gestori dei Parchi Nazionali hanno sempre visto questa legge come un ostacolo ai loro programmi di sviluppo turistico.

5) Tutte con finalità di conservazione dell’ambiente, del paesaggio e dei territori.

6. L’autore si riferisce al Jackson Lake, un tempo lago naturale di piccole dimensioni poi ampliato con la costruzione di una diga che ha sbarrato il Fiume Snake. Inserito nel Parco Nazionale Grand Teton, subito a sud del più famoso Yellowstone, ancora oggi molti turisti pensano che sia un lago naturale, anche se da molti anni ha ormai perso questa sua caratteristica. In America i laghi artificiali sono definiti Reservoir (Bacino) e non Lake (Lago), come invece avviene da noi, generando una confusione che solo in rari casi si verifica in quel Paese, come in questo caso trattato dall’autore.

7) Qui l’autore si riferisce ad alcune iniziative di smantellamento di strade e ripristini ambientali operati in alcuni dei Parchi Nazionali.

E IN ITALIA? IL POLLINO, UN ESEMPIO PER TUTTI

Un esempio italiano, eclatante e recente, del perché negli anni ’50 gli ambientalisti americani proposero una legge che imbrigliasse i gestori dei Parchi e di altre aree protette nazionali. Siamo in Regione Basilicata e si parla del Parco Nazionale del Pollino.

Fonte: Consiglio Informa, del Consiglio Regionale della Basilicata. Seduta del 22 settembre 2011

Con un’interrogazione (a risposta scritta) rivolta all’Assessore all’Ambiente Mancusi, il consigliere regionale del Pdl Franco Mattia ha chiesto di sapere “quali iniziative ed azioni intende promuovere, di intesa con l’Ente Parco e il Comune di Terranova del Pollino, a sostegno di un progetto di adeguamento dell’attuale sentiero che da Terranova, percorrendo la strada per San Severino, raggiunge l’area più suggestiva dei Piani del Pollino, realizzando una piccola strada, con tutte le caratteristiche di salvaguardia dell’impatto ambientale, che favorisca la percorribilità con piccoli automezzi in grado di collegare dal versante di Terranova la zona del Parco, che, allo stato attuale, rimane tagliata fuori dalle escursioni turistiche per famiglie, giovani ed anziani”.

Mattia sottolinea che “anche questa stagione turistica nell’area del Parco Nazionale del Pollino ha registrato le solite carenze infrastrutturali ed in particolare di adeguati collegamenti viari per facilitare l’accesso dei turisti ed appassionati dell’ambiente nelle zone più suggestive del Parco. La limitata rete infrastrutturale viaria – scrive nell’interrogazione – consente di raggiungere le vette e l’habitat naturalistico con la presenza di Pini Loricati, considerati i più interessanti per promuovere il turismo ambientale, solo dal versante del territorio del comune di Rotonda, riducendo fortemente la possibilità di visitare il Parco dagli altri versanti”.

“Da Terranova del Pollino per raggiungere il comprensorio Piani del Pollino costituito dalla corona montuosa Monte Pollino-Serra del Prete-Dolcedorme-Serra delle Ciavole-Serra Crispo – evidenzia ancora Mattia – esiste un unico sentiero-tratturo, lungo circa 6,5 chilometri, che è percorribile esclusivamente da escursionisti decisamente esperti, considerata la pericolosità e la condizione impervia della zona. Oltre ai problemi di sviluppo turistico e di maggiore fruizione del cosiddetto ‘cuore’ del Parco – conclude – si evidenziano problemi per lo spegnimento di incendi che, come purtroppo è avvenuto in anni passati, hanno prodotto la gravissima distruzione di esemplari di Pino Loricato, oltre alle difficoltà per interventi di assistenza e soccorso a turisti”.

Il Parco Nazionale del Pollino è anche il campione, tra i Parchi Nazionali italiani, del come la gestione delle parti più selvagge dei Parchi dovrebbero essergli sottratte con una legge tipo Wilderness Act. Ecco un elenco dei progetti in fase di realizzazione o di autorizzazione: un campionario da guinness dei primati!

ELENCO PROGETTI DI SVILUPPO AL POLLINO

Realizzazione di un “Teatro vegetale” in località Timpa dei Preti, sul Fiume Sarmento (comune di Noepoli), nell’ambito del progetto ArtePollino, ad opera dell’artista Giuseppe Penone. L’opera è stata sequestrata dal Corpo Forestale dello Stato grazie all’azione di Ola, Organizzazione Lucana Ambientalista.

Realizzazione di una giostra panoramica dell’artista Carsten Holler, nel comune di San Severino Lucano, nell’ambito del progetto ArtePollino.

Progetto di installazione di cinque “uova giganti” in una località a forte valenza naturalistico-archeologica, PietraCapavola, nell’ambito del progetto ArtePollino, ad opera dell’artista tedesco Nils Udo, rappresentante del filone della “Land Art” o “Art in Nature”.

Realizzazione di una strada asfaltata per un tratto di circa due chilometri, dal Rifugio Segheria a località Piano di Jumento, per creare un collegamento ad una pista da sci di fondo.

Realizzazione, nella Valle del Fiume Argentino (comune di Orsomarso), di 9 ponti con potenti sostegni e/o pilastri in cemento armato, tramite l’utilizzo di ruspe e camion e conseguente allargamento e sistemazione della strada forestale originaria; lavori giustificati come “di ripristino della sentieristica di particolare valenza compreso il recupero di manufatti lungo i sentieri di montagna”. I lavori risulterebbero al momento bloccati.

Infine, che dire della realizzazione di sentieri in località Piani di Pollino – Grande Porta con bruttissime file di pietre che stravolgono a livello estetico la “naturalità” di aree dal forte “valore wilderness”? Manutenzione ordinaria dei sentieri, o più semplicemente lavori inutili per giustificare elargizione di soldi pubblici?

Progetto per la realizzazione di un centro polifunzionale, “artistico” ed “ecologico” dal costo di ben due milioni di euro, in località Campo Tenese, ad opera dell’architetto Mario Cucinella. Più che l’impatto paesaggistico si critica il fatto che una somma del genere venga impiegata in un’opera che rischia di diventare una “cattedrale nel deserto”, la quale oltretutto non porterà alcun beneficio economico per le popolazioni del Parco, quando tali fondi dell’Ente Parco potrebbero essere spesi per finalità conservazionistiche.

Progetto per la realizzazione, da parte dell’APT (Agenzia di promozione turistica della Basilicata), nella famosa località dei Piani di Ruggio di Viggianello, di un cosiddetto “macroattrattore” consistente in uno scivolo semitubolare in acciaio inossidabile che permetterebbe ai turisti di svagarsi discendendolo con delle particolari slitte per la sua lunghezza di circa due chilometri.

Progetto per la realizzazione a Terranova del Pollino, sempre da parte dell’APT, di un “macroattrattore” consistente in un percorso tra gli alberi che dovrebbe collegare il Rifugio Segheria alla pista da sci di fondo di Piano di Jumento, da realizzarsi a circa sei metri d’altezza e su di una lunghezza di circa 1,5 chilometri; una passerella, ovviamente rigorosamente “in materiali naturali” affinché possa dirsi ecologica!

Progetto per la realizzazione di uno skyflier a San Costantino Albanese (un gioco tipo Aqualandia o Gardaland, dove per emozionarsi i turisti saranno invitati a buttarsi nel vuoto da 60 metri d’altezza per poi scivolare lungo una fune).

Progetto per una follia mediatica nel senisese, sullo sfondo della grande diga di Montecotugno, per illustrare come i greci siano arrivati in Italia e vi si siano insediati (troppo banale sarebbe stato farlo con i soliti musei, libri e mostre, che però non permettevano lo sperpero di grandi somme di danaro!).