Sulmona

ULTIME SULL’ORSO MARSICANO

 

  1. A SULMONA, “UN GIUDICE A BERLINO”

Ero presente a Sulmona, inascoltato testimone, ed  ho anche appoggiato la manifestazione di pochi “contestatori” di solidarietà all’imputato, ma anche in difesa dell’Orso marsicano (bastava leggere i manifesti esposti per capirlo: ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire!); ed ho anche previsto, come già feci con più di un documento al tempo dei fatti (scripta manent), l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non costituisce reato”. Non ero colluso col giudice che ha emesso la sentenza, né con il PM che, ma lo seppi solo dopo a processo concluso, aveva richiesto la stessa assoluzione adottata poi dal giudice. E’ stato però semplice fare la previsione: in fondo bastava esaminare i fatti e non farsi condizionare dall’ideologia animalista (che quando è estremista richiede e/o crea solo ingiustizia). E non ho difficoltà ad immaginare che stessa sentenza sarà emessa anche nel caso che si proceda ad un appello.

Certo, un orso era stato ucciso. Quindi il fatto esisteva. Ma la sentenza ha stabilito che non all’uccisore era addossabile la colpa. Leggeremo nelle motivazioni le ragioni addotte dal collegio giudicante. Certo è comunque il fatto che anche in guerra si uccide senza colpa! Uccidere quell’orso, appunto, non ha costituito reato, semplicemente perché: uno, chi lo ha fatto forse non aveva propriamente l’intenzione di ucciderlo, sebbene sia successo; due, le prove a suo carico non esistevano o erano molto dubbie o viziate, come nel caso della confessione (estorta?); tre, chi lo ha fatto ha difeso la sua proprietà, la sua persona e quella dei suoi famigliari; quattro, la responsabilità morale per i fatti che hanno portato alla morte dell’orso era di altri. A suo tempo leggeremo le motivazioni della sentenza, ma non credo si discosteranno molto dalla mia previsione.

Questo fatto me ne ha ricordato un altro di circa 40 anni or sono. Accadde in Provincia di Caserta; anche lì fu ucciso un orso da un pastore che difese i suoi beni e la sua famiglia (anche in quel caso un orso aveva assalito la stalla prossima alla casa abitata da donne e bambini); e anche in quel caso, nessuno pagava i danni che l’orso arrecava (in Abruzzo li pagano, ma pagano male, in ritardo e poco). Quel reo, per quanto mi risulta, non fu mai portato davanti al giudice di primo grado; evidentemente qualcuno ritenne che “il fatto non costituisse reato” prima che lo sancisse un Collegio giudicante. Peraltro, anche in quel caso (come pare sia avvenuto a Pettorano) il pastore fu portato a confessare il misfatto; solo che (come a Pettorano?) senza le garanzie di legge. Ecco perché a Sulmona c’è stato un Giudice a Berlino.

Quell’orso non solo non doveva bazzicare le abitazioni di Pettorano sul Gizio in cerca di polli e conigli ed avrebbe dovuto restare in montagna, ma anche non avrebbe dovuto vivere neppure sul limitrofo Monte Genzana, ma nei monti e boschi dell’alta valle del Sangro, se si fosse provveduto a far sì che dovesse, lui come altri esemplari della sua specie, sbandarsi, emigrare, disperdersi, tra le montagne che ormai vanno dal basso Molise a Sud alle Marche a Nord, e dalla Majella e Gran Sasso ad Est, ai Monti Simbruini, Lucretili e Reatini ad Ovest; e non perché effetto di un accrescimento della popolazione come logica e regola della biologia animale stabilisce, ma per la sua mera dispersione. Una dispersione che il sottoscritto aveva previsto 40 anni or sono e che è poi proseguita nel tempo con sempre maggiore incidenza; una dispersione che ha portato alla morte e/o uccisione di decine e decine di orsi e ad una conseguente abbassamento della natalità. Dovevano essere presi dei provvedimenti, provvedimenti proposti in ormai centinaia di pagine di studi, rapporti, lettere, articoli di stampa, ma che nessuno hai mai ritenuto di prendere. Le montagne del Parco d’Abruzzo sono ricche di risorse naturali si è continuato a dire. Peccato che l’orso vi cerchi campi agricoli ed allevamenti di pecore che non trova più.

A Sulmona qualcuno ha richiesto, oltre ad una ingiusta condanna con tutte le pene conseguenti, comprese quelle finanziarie, anche  il rimborso di un danno di 50.000 Euro! Si voleva colpire un povero pensionato, annientarlo, economicamente massacrarlo: colpirne uno per educarne cento! come si sperava di poter fare col povero pastore di capre di Rocca d’Evandro nei lontani anni ’70. Come se con ciò si riportassero in vita orsi che mai avrebbero dovuto bazzicare attorno alle loro case, convinti, gli animalisti, che con un tale esempio se ne sarebbero salvati altri. Mentre poteva succedere proprio il contrario, perché in Abruzzo la gente non odia l’orso, ma una condanna ingiusta avrebbe portato proprio a contribuire a scatenare l’odio verso l’orso! E nessun guardaparco, guardia forestale o carabiniere avrebbe mai poi potuto impedire quegli atti di rivalsa, giustizia personale, difesa di propri interessi, che l’odio notoriamente scatena di fronte ad un atto di ingiustizia! La legge condanna l’uccisione dell’orso, ma la giustizia deve saper stabilire se una condanna è giusta o meno. Fortunatamente a Sulmona c’è stato “un giudice a Berlino”! Ed ecco perché il sottoscritto si è complimentato per la sentenza anche con la stampa, “mazziata” anch’essa, visto il silenziatore messo alle mie dichiarazioni. Che anche la stampa fosse pronta ad esaltare una condanna ingiusta per trasformarla in giustizia popolare in nome di un ideologia animalista? Ideologia che troppo spesso dimentica le vere ragioni dell’estinzione animale.

 

  1. LO HANNO “MESSO IN SICUREZZA”!

 

Mentre a Sulmona solo una settimana prima si aspettava una condanna esemplare per l’uccisore di un orso, a Lecce  nei Marsi un altro orso moriva a causa di inopportune manipolazioni. A Sulmona il pensionato aveva usato il fucile per far allontanare l’orso dalla propria abitazione. A Lecce hanno usato un sedativo. In entrambi i casi un orso è morto. E i casi erano simili, perché l’orso morto a Lecce doveva essere sedato per munirlo di radiocollare e poi trasferirlo altrove per allontanarlo da conigliere e pollai. In entrambi i casi qualcuno ha sbagliato; solo che nel primo caso c’era il dolo (l’uso del fucile), nel secondo non il dolo, ma forse l’inesperienza sì (ci sono fatti storici che forse ne sono la prova, uno di essi coinvolgente anche il sottoscritto). Il risultato è stato lo stesso: è morto un orso. Peraltro, dovremmo tutti chiederci se queste catture e sedazioni siano poi effettivamente necessarie e regolarmente autorizzate (se non ricordiamo male furono proibite con un Decreto ministeriale e poi riconsentite per la cattura della famosa orsa “Gemma” che stava creando gli stessi problemi nella vallata di Scanno; ma si sa, a volte i permessi hanno delle scadenze. Ci auguriamo che ciò non sia successo nel caso di Lecce nei Marsi, ed anzi siamo certi che le autorità siano state ben attente al rispetto della legge che proibisce la cattura ed uccisione degli orsi). Anche perché già in passato sono sorti molti dubbi su alcune catture, come ad esempio quando nel Parco cominciò ad essere filmata e fotografata un orsa senza una zampa anteriore finita presumibilmente in un laccio di cattura (di bracconieri?) e tardivamente liberata o liberatasi. O come quando furono alcuni Camosci a morire dopo essere stari sedati per essere studiati e trasferiti altrove. Tutti fatti che potrebbero portare a pensare che magari altri del genere potevano essere successi in passato, cosa che non ci auguriamo e che siamo certi non si siano mai verificati: ma “la moglie di Cesare” non dovrebbe neppure essere sospettata!

Vediamo, tra l’altro, cosa ha scritto il Parco Nazionale d’Abruzzo nei suoi comunicati in merito a questo malaugurato evento che aveva l’intento – parole di comunicati ufficiali e/o di stampa – di “effettuare tutte le procedure necessarie ad anestetizzare l’animale e metterlo in sicurezza”. Ci sono riusciti. Da dove sta ora è certo che l’orso non darà più fastidio né ai “cacciatori” di orsi “confidenti e problematici”, né ai proprietari di galline della Marsica. Hanno scritto che sarebbe morto a causa di “problemi respiratori” e che pertanto sarebbe comunque morto lo stesso anche in libertà (“avrebbero potuto portarlo comunque in breve a morte naturale”). Cosa che peraltro varrebbe anche per l’orso di Pettorano sul Gizio, perché tutti dobbiamo morire, prima o poi! Peccato che i problemi respiratori siano insorti a causa della sedazione e che senza la cattura e la sedazione quell’orso non sarebbe morto il 19 aprile 2018!

Hanno scritto che “il protocollo di cattura meccanica e anestesiologica di orsi bruni marsicani in natura e in cattività (era, ndr) ampiamente collaudato con un’intensa attività di cattura a partire dagli anni ‘90”. Vero, peccato che fino a poco tempo fa per le catture si utilizzassero lacci d’acciaio e non tube-trap; a parte, poi, l’aspetto criticabile dell’ “intensa attività

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di cattura”: come se anziché fornire all’orso il cibo che andava e va ricercando come un disperato (qualcuno dice anche, come un barbone!) le autorità pensassero solo alle catture! Come esimerci dal ricordare che però dietro alle catture ci sono stati stanziamenti (tra Parco, Università e CFS), di oltre 15 milioni di euro in almeno due decenni! Senza che il problema dell’orso marsicano sia mai stato risolto (ed a riflettere che, al contrario, a Yellowstone, il Grizzly lo cacciano per la sua abbondanza, derivata dai provvedimenti presi grazie ai suggerimenti dei primi ricercatori!).

Oggi come non mai è giunto il momento di fare di tutto per riportare alle sua montagne l’Orso marsicano se lo si vuole veramente salvare. Ma per farlo ritornare alle sue montagne bisogna che le sue montagne, queste sì, siano “messe in sicurezza”: proibendo assolutamente movimenti turistici in alcune località, anche a costo di chiudere dei rifugi; siano riportate le pecore in alcuni pascoli, anche a costo di portarle affinché l’orso possa predarle liberamente (greggi pubblici); coltivando siti strategici (e non pochi!) nei fondovalle prossimi alle foreste, peraltro contribuendo anche all’economia locale; autorizzando la riduzione del numero dei cervi e cinghiali che stanno letteralmente saccheggiando le risorse naturali di cui l’orso anche ha bisogno. E che il Ministero dell’Ambiente ponga fine ad ogni forma o motivazioni per la cattura degli orsi “confidenti e problematici” se non in casi estremamente emergenziali. Soprattutto, metta un veto a tutte le ricerche che prevedano catture e radio-collarizzazioni. Oggi è troppo comodo ed anche stupido prendersela con chi ha sparato una palla di piombo o un dardo di anestetico: la responsabilità va vista a monte! Perché si può essere responsabili di queste morti, almeno moralmente, anche per omissione di interventi gestionali della fauna e del suo habitat.

Hanno anche scritto (i media) che “l’orso era finito in una trappola allestita per mettere il radiocollare a un altro esemplare”. Ok. Ma allora perché lo hanno sedato e volevano collarizzarlo comunque? L’autorizzazione valeva quindi per ogni orso che si fosse catturato? E il divieto che aveva posto il Ministro, consentendo poi solo la cattura di “Gemma”, che fine ha fatto? E’ stato nuovamente rilasciato senza limitazioni? Dobbiamo forse pensare che nel Parco d’Abruzzo esiste un libero “trappolaggio” all’orso a scopo di ricerca, manipolazione, trasferimenti, ecc. ?

Ora aspettiamo che un orso (“Mario”, quello che doveva essere catturato?) decida di “vedere” cosa c’è dentro a quelle gabbie per polli anti-orso che anziché spingere gli orsi verso le montagne li spingono verso altri centri urbani e rispettivi pollai non protetti: l’invenzione dei “recinti Finamore” NO, ma quella dei pollai anti-orso SI’, solo che i primi erano gratuiti e garantivano cibo all’orso nelle sue montagne, le seconde valgono 700 Euro cadauna (le produce una ditta specializzata) e se impediscono (ma ne siamo certi?) all’orso di mangiare non evitano incontri ravvicinati con eventuali pallettoni di chi difenderà comunque i propri beni e la propria incolumità.

Per l’autopsia si sono rivolti agli esperti veterinari dell’Istituto Zooprofilattico di Lazio e Toscana, con base a Grosseto. Ma, guarda il caso, oggi proprio lì lavora un ex dipendente del Parco – sebbene esista un Istituto Zooprofilattico in Abruzzo, a suo tempo consultorio del Parco, e, guarda ancora il caso, solo quando lì lavorava e viveva il veterinario di Grosseto (altro che, come ha scritto la stampa, “un Istituto indipendente e nessuno tra i membri della squadra del Parco era presente”!)? Quale credibilità dobbiamo dare alle autorità, se tacciono su questo rapporto? Peraltro, anche sull’età dell’orso hanno fatto confusione con la terminologia: da una parte hanno scritto “giovane orso” e dall’altro “maschio adulto”). E’ stato stabilito che l’orso sia morto “a causa di problemi sanitari gravi, non valutabili al momento della cattura” (parlando volgarmente, mal di cuore, come già a suo tempo lo stesso Istituto stabilì che Morena morì di mal di denti!). Che certamente sarà vero; ma quello che si chiedono i cittadini dotati di buon senso, è, caso mai, sapere quanto sulla morte abbia inciso la sedazione; e se senza la sedazione ci sarebbe stata: non già sapere le conseguenze della sedazione, che sembrano invece mirare piuttosto ad allontanare le eventuali responsabilità della morte! Sarà anche vero che è stato “rispettato il protocollo di cattura meccanica e anestesiologia” come ha scritto il Presidente del Parco; solo che il Protocollo non prevedeva la morte dell’orso, né la si ipotizzava! Invece l’orso è morto, e chi ne ha la responsabilità non è né un bracconiere, né un allevatore, né un proprietario di galline!

 

Murialdo, 22 Aprile 2018 

F.to Franco Zunino
(Segretario Generale dell’Associazione Italiana per la Wilderness e già primo studioso sul campo dell’Orso marsicano)

22 aprile 2018

ORSO MARSICANO – A Sulmona, “Un giudice a Berlino”

ULTIME SULL’ORSO MARSICANO   A SULMONA, “UN GIUDICE A BERLINO” Ero presente a Sulmona, inascoltato testimone, ed  ho anche appoggiato la manifestazione di pochi “contestatori” di solidarietà all’imputato, ma anche in difesa dell’Orso marsicano (bastava leggere i manifesti esposti per capirlo: ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire!); ed ho anche previsto, come già feci con più di un documento al tempo dei fatti (scripta manent), l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non costituisce reato”. Non ero colluso col giudice che ha emesso la sentenza, né con il PM che, ma lo seppi solo dopo a processo concluso, […]