I ponti sul Fiume Argentino: quando la natura ha l’ultima parola
Si è appreso da pochi giorni, grazie ad alcune foto effettuate da C.A.I. di Castrovillari e ad una “lettera aperta” firmata dal Presidente dello stesso, che ben 3 su sette dei ponti con piloni di cemento costruiti sul Fiume Argentino sarebbero inagibili, a causa delle piene di questo inverno. Molti sottolineeranno il fatto che i ponti sono stati costruiti male, che i piloni dovessero avere solide fondamenta… La questione però, è a mio avviso un’altra: ovvero che si è preferito fare dei ponti con assurdi piloni di cemento, che snaturano l’ambiente naturale del Fiume Argentino; il problema, quindi, é soprattutto di impatto paesaggistico. La costruzione di questi ponti si inserisce nell’ambito dei lavori di ripristino della sentieristica nel Parco: c’era evidentemente la motivazione delle piene, che avrebbero travolto dei semplici e tradizionali ponticelli di legno. Ma, come si vede dalle foto, la piena ha piegato anche i piloni di cemento… Che dovremo fare allora, dei ponti come quelli sulle autostrade? Forse il buon senso suggerisce che le piene facciano parte della vita di un fiume e che anche il minimo intervento dell’uomo debba armonizzarsi con certi ambienti naturali e le loro “leggi”.
Con molto meno soldi, si sarebbero potuti costruire dei frugali (e anche più belli) ponticelli in legno, per le esigenze di fruizione turistica, ponticelli da ricostruire o riaggiustare dopo le piene invernali, ad ogni inizio stagione, con un’opera minima di manutenzione spalmata negli anni. Scriveva con lungimiranza il segretario di Wilderness Italia Franco Zunino, quasi due anni fa: “Una corretta valutazione costo-benefici dimostrerebbe che di quei 9 ponti non c’è alcun bisogno, che si potrebbero costruire con grezzo materiale legnatico, e che seppure periodicamente asportati dalle piene, le spese di ristrutturazione spalmate negli anni sarebbero molto, molto, inferiori ai costi che oggi il Parco sostiene per realizzare opere assolutamente in contrasto con la natura circostante. Senza considerare il senso di avventura che ponticelli in legno darebbero ai visitatori, e che i ponti retti da pilastri di cemento armato annullano, svilendo il valore selvaggio di quei luoghi, che è la loro vera e prima caratteristica”. Adesso il problema è duplice: resta un’immagine di degrado – dei ponti barcollanti che sviliscono l’ambiente naturale dell’Argentino – e la stessa fruizione turistica è negata, non avendo i visitatori la possibilità di percorrere l’itinerario previsto nella sua interezza. Questa vicenda dimostra come scopo prioritario in un Parco non sia una fruizione turistica che addomestica e deturpa la natura, al costo di migliaia di euro, ma la conservazione degli ambienti naturali più integri, che permetta così una pratica escursionistica di qualità, rispettosa della natura selvaggia e dei sui cicli. Leave no trace, è l’etica dell’escursionismo… almeno in America!

Una “Linea Nazca” sui Piani del Pollino?

Con lo sciogliersi della neve si vedono le macchie, recita un antico proverbio lucano. E in alta montagna, ai Piani di Pollino come alla Grande Porta (almeno parlo per quel che ho sinora visto io), è possibile vedere i risultati dei lavori di “ripristino” della sentieristica. La cosa che più sconcerta sono lunghe fila di pietre, anche di grosse dimensioni, piantate a terra come massi totemici e geometricamente allineate. Il tutto ricorda… le mitiche Linee Nazca del deserto del Perù. Dov’è il problema? Intanto, nelle praterie d’alta quota, come appunto sono i Piani di Pollino, queste linee artificiali sono visibili da molti chilometri e l’allineamento non fa che alterare visivamente, in certi punti lo scenario dell’area naturalisticamente più integra del Massiccio del Pollino (sì, esiste anche l’inquinamento visivo, ricordiamolo). Il risultato è una sorta di banalizzazione del paesaggio maestoso a cui siamo abituati (ma ribadisco, non ho pretese di obiettività… di questi tempi molte cose che si davano per scontate non sono più tali). Ciò non significa che non debbano esserci sentieri, ma che un sentiero non possa essere concepito come la strada di un gigantesco Pollicino che lascia massi per indicare la via ai poveri turisti, sempre in pericolo di perdersi nella wilderness dell’Alaska-Pollino. Un sentiero è una traccia di calpestio, sentieri esistono anche in natura, creati dagli animali selvatici; ciò non vuol dire che un sentiero non possa essere segnalato con mucchietti di sassi, bandierine C.A.I. e anche qualche pietra spostata o allineata, ma l’opera dev’essere sempre in armonia con lo scenario naturale circostante. Abbiamo già l’esempio dei sentieri realizzati dai nostri avi, pastori e mulattieri, che si inserivano perfettamente nell’ambiente circostante. Ovvero, gran parte dei sentieri già esistono e non si dovrebbe fare altro che manutenzione, rendendoli così fruibili in maniera naturale all’escursionista. Inoltre, in alcune grandi aree aperte come i Piani di Pollino l’escursionista non ha bisogno certo di viali di pietre: dove deve andare lo può vedere bene, a meno che non sia patologicamente idiota. Si dirà che ci sono problemi di calpestio… be’ bisognerebbe vietare anche il pascolo ai Piani allora, visto che centinaia di cavalli e mucche pesano molto di più di uno/a snello/a escursionista . Del resto, anche le tabelle che a breve saranno messe sui pali piantati all’imbocco degli snodi principali rassicureranno l’ignaro turista sulla direzione da prendere. La segnaletica è importante, ma va ridotta al minimo: non si può pretendere di banalizzare e addomesticare la nostra montagna come se fosse un parco urbano. Chi non ha un minimo di esperienza escursionistica, paghi e scelga una guida per visitare la montagna in tutta sicurezza…
Piccola nota autobiografica: io ho visitato anche altri parchi nazionali, ma non ho mai visto cordonate di pietra allineate con la lenza per indicare un sentiero….

di Saverio De Marco

28 agosto 2012

IL POLLINO E LA SENTIERISTICA

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UNA PICCOLA RIFLESSIONE

“Amare l’orso senza mai vederlo, accontentandosi del sapere della sua presenza”… Purtroppo non tutti riescono a raggiungere un ideale così nobile… Ma è un approccio che arricchisce più della ricerca ossessiva dell’incontro. E’ un atteggiamento che io stesso ho sperimentato coi lupi, perché mai li ho visti e mi accontenterò sempre di osservare le loro tracce nella neve: se poi mi dovesse capitare un fuggevole avvistamento sarò lieto di incontrare il magnifico predatore. Il fascino che dà quella presenza misteriosa forse vale più del loro avvistamento… quel fascino che è parte di quel sentimento wilderness di cui parliamo, basato più […]
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