Come giocando con la scienza si tenta di risolvere (a tavolino!) il problema dell’Orso

E’ noto come gli italiani, specie i politici, siano famosi per cambiare nome alle cose e sostenere così di aver risolto un problema.

Con la stessa tecnica, ora ci si mettono anche gli scienziati, in buona o cattiva fede, senza abbinarvi mai un minimo di buon senso e di logica: mentre la scienza vera dovrebbe sempre farlo, perché anche i dati scientifici non possono ignorare la logica. Le ultime notizie sull’Orso marsicano ci dicono che tramite lo studio della genetica si è scoperto che la mansuetudine e l’indole alla domesticità dell’Orso marsicano si spiegherebbe con la presenza di cromosomi (ben 22 frammenti di Dna) indotti dalla millenaria vita in vicinanza dell’uomo. La solita scoperta dell’acqua calda che non risolve i problemi immediati dell’orso e che altri studiosi della biologia dell’orso ed autorità hanno subito utilizzato per giustificare il fenomeno dell’addomesticamento che negli ultimi anni ha colpito la popolazione residua del marsicano, e che loro non sanno risolvere!

Peccato che la logica ci dica che l’Orso marsicano sia rimasto selvatico per migliaia di anni, e che solo negli ultimi decenni (ed in particolare, con un crescendo incredibile, negli ultimi anni) il fenomeno si sia evidenziato: cosa che annulla tutte le ipotesi fatte sulla base delle analisi dei cromosomi, che pertanto restano solo tali (e molto discutibili)!

Carattere mansueto che, caso mai, ha sì valore di scienza e di esattezza, ma riferito alla diversa indole tra gli orsi bruni del resto del mondo e quelli della popolazione abruzzese, peraltro notoriamente sempre stata di indole mansueta (tanto che gli abruzzesi – la gente – è l’unica al mondo ad aver dato nomignoli di simpatia agli orsi): ma non al punto di essere divenuta quasi “domestica” come è successo in questi ultimi anni.

Si fa risalire la ragione di questa domesticità al fatto che da migliaia di anni l’orso ha vissuto a stretto rapporto con l’uomo con lo stagionale saccheggio di coltivazioni e di armenti (in particolare pecore: erano a migliaia a pascolare sui monti d’Abruzzo, fino a pochi decenni or sono). Ed è ovvio che l’orso abbia finito con l’apprendere che quel cibo vegetale (il più abbondante) ed animale, glie lo procurava l’uomo. Quindi, un’acquisizione comportamentale piuttosto che indotta dal Dna! Nessuno che si chieda come mai l’indole così mansueta sia apparsa solo nei nostri ultimi anni e non, almeno, nei molti decenni precedenti (lasciamo perdere i millenni)!

Certo, avrà inciso anche l’effetto dei cromosomi a spingerlo a questo, ma perché solo oggi? Semplice e logico: PERCHÉ NELLE VALLATE SONO VENUTE MENO LE COLTIVAZIONI, E SUI PASCOLI LE PECORE! Ecco, quindi, che con lo scarseggiare di queste risorse alimentari, essi siano stati spinti a cercarle presso l’uomo, in luoghi sempre più vicini allo stesso: finanche nei Paesi, come sta avvenendo negli ultimi anni! Il contributo del Dna a questo cambiamento comportamentale ci sarà pure stato (lo ha stabilito la scienza!), ma che poi sia scienza esatta è da vedersi. Comunque gli scienziati farebbero bene ad abbinare ai loro studi e alle loro scoperte, anche un poco di senso pratico e di conoscenze del mondo e della vita dell’orso!

Infatti, sull’indole domestica di questi orsi meridionali dovrebbe in primo luogo essere tenuto presente non tanto il Dna quanto l’aspetto comportamentale recente, che sarà magari spiegabile con la presenza dei cromosomi che gli scienziati dell’Università di Ferrara hanno scoperto, ma neppure va ignorato che forse è semplicemente, come già detto, una “scoperta dell’acqua calda”, visto che anche senza studi del Dna è notorio come la mansuetudine sia caratteristica di tutte le popolazioni animali (uomo compreso) meridionali: difatti, senza allontanarci troppo, anche lo stesso Camoscio d’Abruzzo o Appenninico ha un indole domestica che
non ha il Camoscio delle Alpi (controprova dovrebbe quanto meno essere la scoperta dei 22 frammenti di Dna succitati anche nei Camosci d’Abruzzo). E che dire dell’uomo? E’ notorio il carattere più socievole, meno egoista e mite delle popolazioni meridionali; cosa che tutti riconoscono quando al Nord si parla dei viaggi turistici al Sud, con sentimenti di stima che è quasi una meraviglia, per tanti del Nord.

Tornando al ragionamento iniziale; in pratica, con la succitata scoperta, gli scienziati sul campo e le autorità ne hanno subito approfittato per giustificare il fenomeno di presenza sempre più frequente di orsi nei paesi d’Abruzzo: nascondendo così la loro incapacità di risolvere il problema. Arrivando finanche a raccontare cose non vere, come di recente si è letto sui media, come il far credere ad una scoperta recente, ad esempio, il fatto (notorio da sempre!) che le risorse naturali vegetali di cui si cibano gli orsi abbondino; che “gli orsi sono ben nutriti e in salute” (certo, grazie al cibo che trovano nei paesi e nelle campagne fuori Parco!).

Nonostante questo l’essere ben nutriti e in salute, ecco però che un noto studioso, da Roma asserisce che, cosa che conferma quello che da anni il sottoscritto va purtroppo prospettando (si è verificato!), che per salvare l’Orso marsicano “l’unica chance sarà rinfrescare il suo Dna”, il che letteralmente tradotto, a parte la contraddizione (perché primo segno della decadenza di una popolazione è sempre la… decadenza fisica!), significa introdurre esemplari di altre popolazioni europee. Ma se mai si dovesse giungere a questa sciagurata operazione, sarà poi interessante vedere come essi – gli studiosi – spiegheranno l’aggressività che, come sta succedendo in Trentino (dove proprio per effetto di un “rinfrescamento” oggi sono divenuti orsi Trento-sloveni!), anche in Abruzzo cominciasse poi ad evidenziarsi il giorno che questa, almeno per ora, sciagurata ipotesi di introduzioni di individui dai Balcani (Croazia o Albania, di cui già si è ufficialmente scritto!), si dovesse verificare.

Oggi siamo ancora in tempo per salvare l’Orso marsicano con i suoi integri cromosomi “mansueto-comportamentali”. Che scienziati ed autorità facciano di tutto per salvarlo, ma non con studi e radiocollari e satelliti, bensì seminando campi di granoturco e riportando le pecore sui pascoli d’Abruzzo!

Ci dicono che con una popolazione di “50 esemplari con solo una decina di femmine fertili il primo problema è l’inbreeding”, che “una comunità di 50 individui è in una situazione limite”. Ignorando che se la situazione limite vale per l’Orso marsicano non si capisce per quale motivo non sia valsa per altri animali, salvati senza ripopolamenti estranei e pur in presenza di numeri assai più bassi: Condor della California, ad esempio. Di fronte ad una sottospecie riconosciuta (lo hanno confermato anche gli stessi genetisti dell’Università di Ferrara: “l’isolamento genetico ha inciso su forma del cranio e metabolismo e sulla muscolatura meno efficiente”, cosa che spiegherebbe la dieta molto vegetariana e la loro mansuetudine) bisogna fare di tutto per preservarne l’integrità anche genetica!… Certo è che con una eventuale operazione di introduzione si creerebbe lavoro per anni ed anni per i ricercatori che ne fossero incaricati! Diceva l’On. Andreotti, che…..!

Sempre questi studiosi da tavolino ci dicono che gli orsi marsicani “appena mettono il naso fuori dai confini del Parco, rischiano una brutta fine”. Peccato che già oggi siano soprattutto fuori dal Parco: e allora, perché anziché “bregare” per farsi aiutare dalla politica ad ampliare il Parco, non si cerca di riportarli nel Parco? E fin dove lo si vorrà ampliare questo Parco visto che di questo passo gli orsi si stanno sempre più spostando fuori dal suo range storico recente? A comprendere tutto il Lazio, tutto il Molise e l’Abruzzo? Non sarebbe più facile e meno dispendioso mettersi a coltivare un poco di campi e far ritornare le pecore nei pascoli del Parco attuale?

22 ottobre 2017

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